Pubblicato sul manifesto il 4 aprile 2017 –
Ho sempre nutrito un certo sospetto sull’idea di decrescita. Sono convinto che viviamo tutte le conseguenze negative di una sorta di religione della crescita assolutamente dogmatica e distorta. Anche criminalmente distorta. Tuttavia la parola che si oppone così frontalmente e inversamente alla crescita mi fa pensare a qualcosa di uguale e contrario. Un’altra forma di pensiero un po’ dogmatica che vorrebbe farci invertire il cammino, magari facendoci inciampare di nuovo in vecchi errori e privazioni, qualcosa che richiama alla mente certe antiche astrazioni mitiche sulla felicità dei buoni selvaggi prima delle aberrazioni della civiltà.
Tuttavia ho un caro amico – Marco Deriu – che stimo e che è molto impegnato nel movimento della decrescita. Così ho comprato l’ultimo libro che ha curato: “Verso una civiltà della decrescita. Prospettive sulla transizione”, edito da Marotta&Cafiero per conto della Associazione per la decrescita. E’ una miniera di opinioni e di informazioni sulle vere e peraltro molteplici e articolate intenzioni degli uomini e delle donne che si riconoscono in questa parola. E mostra – sin dai risvolti di copertina – la consapevolezza di quanto problematica sia la parola stessa. Un termine “urtante”, che “dà fastidio” perché – questa le tesi di fondo – ci ricorda “ che un’intera era è finita”, e che la “civilizzazione che l’ha caratterizzata è al collasso”. L’unica possibilità di “immaginare un futuro vitale sta in un profondo cambiamento riflessivo”.
Dunque quel de che precede un significato al quale siamo tanto affezionati – associamo istintivamente la crescita all’immagine dei bambini e delle bambine alle prese con la vita, riconosciamo la stessa radice di senso di creatura – va forse inteso come una provocazione. Dovete scuotervi dal torpore che vi induce a accettare le cose come sono, e che non vanno bene. Cerchiamo un’altra prospettiva!
Non starò a riassumere il volume: ci sono una ventina di interventi di autori e autrici italiani e stranieri, dalla critica dello sviluppo capitalistico alle analisi della divisione sessuale del lavoro – con riconoscimenti inusuali al contributo del femminismo – fino alla indicazioni di alternative sociali, economiche, comportamentali.
Ciò che mi è piaciuto è l’approccio aperto e plurale – tutto al contrario del sospettato dogmatismo – della proposta politica. “In primo luogo – scrive Deriu nell’introduzione – si tratta di mettere in relazione culture formali e istituzionalizzate tramite la ricerca teorica e scientifica, e culture informali e autoprodotte in una miriade di esperienze dal basso”. Una prospettiva in cui scienziati e ricercatori si incontrano con attivisti e attiviste, “persone impegnate a costruire ogni giorno progetti, esperienze e pratiche concrete di cambiamento sociale, economico e politico”. D’altra parte l’idea di decrescita può essere declinata – lo dice il più noto profeta del movimento, Serge Latouche – con una quantità di altre parole appartenenti a diverse culture del mondo: realizzazione, buen vivir, rigenerazione, star bene insieme, e via elencando.
Infine lo stesso volume che avrete in mano, se lo cercherete e acquisterete (10 euro per oltre 300 pagine), è un piccolo esempio di un altro modo di vedere il mondo. Infatti è “rilasciato con licenza Creative Commons”. Il che vuol dire che potete riprodurre, distribuire, recitare questi testi liberamente, se rispetterete alcune condizioni: riconoscere i contributi degli autori e autrici, non avere scopi commerciali, non alterare e trasformare l’opera.