Pubblicato sul manifesto il 21 marzo 2017 –
Domenica scorsa era la festa del papà. Mi sono sorpreso a pensare se avrei ricevuto auguri dai miei figli. Poco dopo un amico quarantenne – un tipo piuttosto anticonformista – mi ha detto che lui a suo padre li aveva appena fatti. Quando anche io li ho ricevuti, una imprevista forma di dolcezza sentimentale mi ha attraversato.
Da giovane non sapevo neanche dell’esistenza di una festa dedicata ai padri, mentre sentivo parlare di una festa della mamma. Un po’ scherzando e un po’ no dicevo alla mia compagna e ai bambini piccoli che noi “non eravamo una vera famiglia”. Residui post-sessantottini. In fondo, però, c’era un’idea che non rinnego: i sentimenti, la qualità delle relazioni tra persone che convivono, non andrebbero condizionati da ruoli più o meno gerarchici predeterminati. Ma in un libero scambio da inventare giorno per giorno (il che non significa rimuovere le differenze tra grandi e piccoli, tra maschi e femmine, madri e padri)
Sono tempi strani per la paternità e la maternità. Gli uomini, i più giovani, ma non solo, sembrano rivolgersi verso le piccole creature con un maggiore desiderio di intimità e di cura. Alcune associazioni e reti (tra cui maschile plurale, di cui faccio parte, ma anche realtà come il Cam – Centro di ascolto degli uomini maltrattanti – e il Cerchio degli uomini di Torino, che sono impegnati contro la violenza maschile) hanno dato vita a Il giardino dei padri, che ha promosso varie iniziative per valorizzare e diffondere l’idea di una paternità diversa. Giochi di ruolo organizzati dal gruppo teatrale Parteciparte, con il nome Festa dei Papaveri, dove si allude allegramente all’esistenza possibile di veri papà. Giovedì 23 marzo, all’Università di Roma Tre (via Principe Amedeo 184) si discuterà del “Primo rapporto sulla paternità in Italia”, a cura dell’ISP (istituto di studi sulla paternità).
Si vedrà se qualcosa sta cambiando effettivamente, visto che le statistiche in genere non rilevano – da un punto di vista quantitativo – troppo entusiasmo da parte maschile a impegnarsi in tutto ciò che riguarda la riproduzione e la cura del vivere.
D’altra parte un cambiamento che da alcuni decenni mette radicalmente in discussione i ruoli tradizionalmente assegnati alla donna e all’uomo, nel rapporto con i partner, con i figli, con il mondo, con le proprie identità sessuali, e con la possibilità di nuove tecnologie riproduttive, produce inevitabilmente anche conflitti e fantasmi minacciosi.
Che cosa prova un maschio sentendo una giovane donna affermare cose del tipo: “ah, avessi due anni di reddito garantito, subito inseminazione e mi farei un figlio…”. La presenza di un padre non viene nemmeno presa in considerazione.
Oppure come reagisce una donna di fronte alla sentenza che riconosce la paternità a due uomini che hanno avuto il figlio da una madre “portatrice”, poi cancellata?
E infatti se ne discute in modo animato, vedi lo scambio in rete tra Luisa Muraro e Federico Zappino. Non sarebbe desiderabile una maggiore reciproco ascolto?
Se in Russia la festa del papà coincide con quella dei “difensori della patria”, in Italia e in altri paesi latini è il giorno di San Giuseppe, il mite e generoso padre “putativo” di Gesù. Quello di sua moglie Maria si potrebbe dire il caso più simbolicamente rilevante di “gestazione per altri”?
Certo la madre qui non è stata rimossa. E la scelta di Maria, accettata da Giuseppe – diceva con ironica ma convinta provocazione Rosetta Stella – è stato il vero inizio della fine del patriarcato…