Pubblicato sul manifesto il 28 febbraio 2017 –
In Italia nostalgico è diventato persino un quasi-sinonimo di filofascista: colui è un nostalgico del regime del Duce. E in genere la nostalgia è un sentimento di cui si parla in modo negativo. Anche a sinistra si aggirano troppi nostalgici di idee, partiti, canti e immagini ormai indiscutibilmente obsoleti. Gente che si attarda a intonare Bandiera Rossa o la Locomotiva di Guccini, e che per ciò stesso pretende di far girare al contrario – come sempre a sinistra un tempo si amava dire – “la ruota della storia”.
La parola però andrebbe maneggiata con cura. Il vocabolario etimologico ci dice del suo significato complesso: dal greco nostos, che a sua volta unisce due radici, quella che allude al viaggio, al ritorno, e l’altra che richiama la casa, il villaggio, la patria. Il nostos è il ritorno al luogo di origine. E il resto della parola parla del dolore, dell’angoscia che può provocare l’impossibilità di questo ritorno, o della spinta che ci obbliga a tentarlo.
Questo tipo di sentimenti drammatici – come tutti sanno – è fondativo di certi miti che stanno all’origine della nostra civiltà, basta pensare all’Odissea o all’Eneide. E’ ben vero che Enea fonda una nuova città, ma porta sulle spalle il padre, e cerca un risarcimento della perdita della propria patria.
Mi ha indotto a questo ordine di pensieri qualcosa di meno epocale, ma comunque significativo: l’ultimo numero dell’Espresso in edicola è in gran parte segnato da messaggi che possono evocare la nostalgia. La grafica della testata riproduce quella dei primi numeri inventata dai ” fondatori” Arrigo Benedetti e Eugenio Scalfari (anche se non il formato : ho abbastanza anni da ricordare bene il giornalone settimanale illustrato che sfogliavo negli anni del liceo).
Tutto il numero è poi un inno al ritorno della ” carta” rispetto alla scrittura che sembrava definitivamente consegnata allo spazio del web. Non mancano numerosi dati , soprattutto sulla rivincita di quella finora imbattuta tecnologia che consiste nel libro cartaceo. E infatti il “nuovo” Espresso annuncia che ogni numero “sarà come un libro”. Auguri! Anche se consiglerei al direttore Tommaso Cerno di non esagerare nell’uso del termine “nuovo inizio”, per me indissolubilmente legato a quella “svolta” del Pci che non ha ancora smesso di produrre i piu diversi effetti a sinistra. Per questo lo stesso consiglio lo rivolgerei al giovane Speranza.
E di “nostalgia di un futuro migliore” parla David Bidussa sulla Domenica del Sole 24 ore a proposito del libro di Enzo Traverso “Malinconia di sinistra. Una tradizione nascosta” (Feltrinelli). Non c’è efficace utopia senza rivisitare una tradizione fatta di sconfitte, a cominciare dalla Comune di Parigi. Giustissimo. La nostalgia qui potrebbe adempiere al ruolo di sostegno sentimentale al rigore critico. Io mi accontenterei intanto che la sinistra italiana, da Vendola a Renzi – per dire – passando da Bersani, D’Alema, Napolitano ecc. si interrogasse su quello di cui è stata diversamente responsabile negli ultimi anni, dalla caduta di Berlusconi nel 2011 ai giorni nostri. Valutare sonfitte, errori, e anche risultati.
Per non ripartire col piede sbagliato.