Di fronte a un quadro tanto deprimente e melanconico, peraltro condotto a spese delle masse, popolo, cittadini, Paese e persino dell’Europa, perché le donne nel Pd sono pressoché annichilite? Perché le donne non hanno agito in prima persona contro la divisione-scissione nel Pd (a parte le poche che si sono espresse nell’Assemblea nazionale)?
Forse, quel protagonismo femminile così incensato, trova ancora una volta la sua plateale smentita in un partito, associazione non di uomini e donne con finalità comuni, ma di un solo sesso con molti baritoni. Una risata lo seppellirà, avrebbe recitato il mitico ’77, rievocato in questi giorni (più che altro per la cacciata di Lama dall’università La Sapienza).
Tuttavia, se guardiamo senza preconcetti nei confronti del Pd, non è così vero che le donne, terrorizzate dal “cupio dissolvi” collettivo, abbiano deciso di proclamarsi estranee a tutto questo bailamme.
L’amica Lia Cigarini della Libreria delle donne di Milano, fine lettrice di giornali, mi segnala la lettera a Aldo Cazzullo (Corriere della Sera del19 febbraio) di Monica Chittò che si firma “sindaco di Sesto San Giovanni”, una volta la Stalingrado d’Italia.
Nella lettera, la sindaca – mi scuserà se la cito a modo mio, con quel femminile capace di mettere i brividi addirittura a un Presidente emerito – descrive il Pd “che si divide tra date del congresso, forzature, minacce di scissione e tutti contro tutti”.
Sesto è uno dei 989 Comuni che in primavera andranno al voto. Per inaugurare il suo Comitato elettorale, Monica Chittò ha deciso di mandare la cartolina d’invito a Renzi, Orfini, Franceschini, Martina, Orlando, Cuperlo, Bersani, D’Alema e altri. Aggiunge, nella lettera, una “considerazione finale, da donna: questi scontri mi sembra rappresentino il volto peggiore della politica maschile”.
Aspirazione fiacca e un po’ troppo irenica oppure rifiuto di partecipare ai giochi di potere? Scegliete voi. Dentro al Pd, un sesso si azzuffa; l’altro si eclissa. La domanda è: il sesso che si eclissa ha in orrore simili degenerazioni (maschili) oppure osserva a distanza di sicurezza (posizione un po’ quietista) il narcisismo patologico, le giravolte, le smargiassate, le ambizioni maschili appena velate ?
Sono momenti, questi, di drammatizzazione nella quale, più che discutere di identità (perduta), più che agire la politica per provare a affrontare le difficoltà, ci si batte per le liste, organigrammi, leadership. Niente di male, naturalmente. Senza una collocazione istituzionale, come si può produrre politica (anche se il femminismo l’ha dimostrato possibile)?
Il risultato, però, consiste nel menare fendenti contro l’intruso toscano che non si sposta di una virgola e, contemporaneamente, venirgli incontro uscendo dal Pd dopo aver giurato “Mai lascerò la ditta”.
Ai territori disastrati dagli eventi naturali e per mano dell’uomo, all’aggravarsi delle diseguaglianze, delle tensioni sociali, delle violenze bisognerebbe rispondere con un progetto, un programma, forse una “conferenza programmatica” che il ministro Orlando ha proposto nel suo intervento.
Invece, niente. Ci si disinteressa di quel “primum vivere” (come furono chiamate in un incontro femminista a Paestum le condizioni del nostro quotidiano, cioè il nesso inscindibile tra produzione e riproduzione di ognuno e di tutti noi).
E le donne Pd restano sullo sfondo. In un silenzio “ambivalente”, come scrive Marina Terragni sul suo blog? (Mentre sul Corriere ha rincarato la dose Liliana Cavani: “ragazze, se ci siete battete un colpo!”). Eppure, non è solo la prima cittadina di Sesto San Giovanni ad aver preso parola. Per contrastare l’irragionevolezza dei contendenti, fioriscono documenti (uno si trova su Change.org), petizioni, appelli di parlamentari, deputate e senatrici e, a seguire, migliaia di firme, per indurre i maschi – s’intende – a restare uniti.
Il linguaggio ha, probabilmente, un sapore ingenuo e insieme enfatico. E’ vero che in questa situazione sarebbe necessaria un’idea-forza. Il “prendersi cura” non basta invocarlo ma occorre specificare quale conflitto politico si intende aprire. Si può anche dar ragione a Renzi o a Bersani quanto alle politiche proposte (o imposte), ma conta molto come lo si fa: “il metodo è sostanza”, dicemmo alla fine del vecchio Pci. Al contrario, le donne Pd “non sembrano sapersi intestare un’azione politica” (ha scritto sul “Mattino” Claudia Mancina”).
Se però da questi tentativi seguisse un mettersi in relazione, un guardarsi in giro, appunto cominciando a disegnare una diversa pratica politica, ne potrebbe venire fuori qualcosa di meno arrogante del modo di esprimersi che hanno gli attuali contendenti del Pd.