Dunque Natale è passato, i giornali non sono usciti per due giorni e sarebbe facile dire che ci si farebbe volentieri l’abitudine. Devo aver già detto che il vecchio Amendola era invece scandalizzato dal fatto che i quotidiani si permettessero di far festa due giorni di seguito: inconcepibile restare senza notizie per chi vive politicamente ogni ora della propria vita…
Oggi però non c’è problema: le trasmissioni tv di news non-stop e la galassia del web non cessano un solo minuto di bombardarci di informazioni, o supposte tali.
Ma sto prendendo troppo alla larga il tema incautamente scelto per questa rubrica, che cade in una specie di tempo vuoto, sospeso dopo l’ abbondante cibo natalizio e in vista del nuovo anno (che tutti speriamo migliore di quello che se ne va).
Ho ritrovato in libreria una recente edizione del saggio Sulla stupidità di Robert Musil ( SE, 2013, con postfazione di Giancarlo Mazzacurati), che avevo letto molti anni fa perdendone poi le tracce nella mia disordinata raccolta di libri.
Ci sono forse nella storia momenti in cui la natura e l’importanza della stupidità assumono un rilievo speciale, urgente e drammatico. Lo era probabilmente il 1937, anno in cui Musil pronunciò questa conferenza a Vienna: fu la sua ultima apparizione in pubblico prima della fuga in Svizzera di fronte ai nazisti, e della morte nel 1942.
Stiamo vivendo un altro di questi frangenti storici?
“Le condizioni della vita attuale – scrive l’autore dell’ Uomo senza qualità in quel 1937 – sono così oscure, così difficili, così confuse che dalle stupidità occasionali del singolo può nascere una stupidità costituzionale della comunità”.
Il filosofo Maurizio Ferraris – suo il recente pamphlet L’imbecillità è una cosa seria (Il Mulino, 2016) – ha qualificato il voto americano per Trump come “una grande pagina nella storia dell’imbecillità” (vedi su questo giornale l’intervista a Ferraris di Daniela Preziosi, 20 ottobre 2016). E restano sempre valide le parole di Musil nel suo grande romanzo, che egli cita, non proprio letteralmente, anche nella conferenza di Vienna: “Non v’è praticamente pensiero importante che la stupidità non sia in grado di utilizzare; essa è mobile in ogni direzione e può indossare tutte le vesti della verità. La verità invece ha una sola veste e una sola via, ed è sempre in svantaggio…”.
Pensiamo per un’attimo all’uso che oggi viene fatto di pensieri importanti come la democrazia diretta, l’onestà in politica, o la necessità di far meglio di chi è venuto prima di noi… Ma, appunto, la stupidità assomiglia molto “al progresso, al talento, alla speranza e al miglioramento…”.
Come difendersi da un antagonista tanto insidioso?
Musil, che aveva cominciato avvertendo quanto sia rischioso affrontare il tema – giacchè chi lo fa presume di essere intelligente, e ciò è spesso da stupidi – lo conclude suggerendo correttivi semplici ma saldi: la modestia, la consapevolezza del “margini di errore” di qualunque nostra azione o pensiero, con l’aggiunta della fermezza di carattere e della passione per l’esattezza.
Forse è utile anche andare alla radice di senso di queste parole. Stupidità deriva dal latino stupeo, mi stupisco, resto stordito. Imbecille è colui che è in-baculum, senza bastone, pensa cioè di poter fare a meno di un sostegno indispensabile. Però per Aristotele lo stupore è all’origine di ogni filosofia, ed è giusto ogni tanto contare solo sulle proprie forze. Sono punti di partenza cruciali per comprendere e agire: proviamo a sottrarli allo stupido e imbecille che alberga in noi. Auguri.