Pubblicato sul manifesto il 20 settembre 2016 –
Il filosofo Remo Bodei ci ricorda (I valori penultimi delle democrazie, sulla Lettura del Corriere della sera di domenica 18) che la parola dubbio ha radici comuni nella maggiorparte delle lingue indoeuropee, come il sanscrito dva o dvi, che significa “due”, come il latino dubium o il tedesco Zweifel. Infatti il dubbio “indica incertezza dinanzi a alternative pratiche o teoriche”. Abbiamo di fronte un bivio e non sappiamo da che parte andare. Peggio ancora se le strade davanti a noi fossero più di due…
Prima o poi bisogna scegliere, ma fermarsi a riflettere dubbiosi è decisivo per limitare gli errori. E ciò è tanto più vero – questa la tesi del filosofo – per il buon funzionamento della democrazia e la prevenzione delle derive autoritarie.
Bodei ha svolto queste considerazioni al festival delle “X giornate” di Brescia, che promette “la musica come non l’avete mai vista”, cioè contaminazioni tra concerti, letteratura, arti visive. E qui mi viene, così en passant, un primo dubbio: sfogliando le pagine culturali ci si imbatte in una quantità impressionante di iniziative pubbliche rivolte alla sensibilità mentale, estetica e etica dei cittadini, che accorrono numerosissimi.
Ma quanto pesa quest’Italia apparentemente intelligente, colta, bene educata, di cui si fa una certa fatica a trovare traccia nel discorso pubblico? Nel bel paese vince il partito dell’ignoranza o quello della conoscenza?
Dovrebbe rispondere qualche sociologo sulla base di adeguate ricerche (ma sicuramente sarà già stato fatto).
Sul valore politico del dubbio ho litigato un po’, ma urbanamente, con qualche amico di sinistra a proposito dell’intervista che Giuliano Pisapia ha dato domenica a Repubblica, in cui si dice incerto sul Sì e il No al referendum sulla riforma costituzionale ( “Non sono iscritto al fronte del No, per ora non mi esprimo”), e appare propenso a un compromesso che riapra un dialogo nel centrosinistra: “Molto dipenderà se ci sarà la modifica dell’Italicum e dall’impegno a rendere più snelli alcuni punti di questa riforma della Carta”.
Molte le reazioni negative: che aspetta Pisapia a decidersi? Traccheggia perché in realtà lui è per l’alleanza con Renzi e basta? Tranchant Stefano Fassina: “Caro Giuliano il centrosinistra è morto e il tuo elogio della ragionevolezza dorotea è fuori tempo massimo”.
Sto cercando di capire bene che cosa esattamente prevede il testo, sicuramente pasticciato, della riforma, e i nessi con la legge elettorale. Penso che voterò No, per vari motivi che non elenco qui, ma resto geloso dei miei dubbi, che riguardano soprattutto il linguaggio e i propositi dei contendenti in campo.
Infatti la stessa scelta, per il Sì o per il No, può caricarsi di significati politici del tutto diversi.
Voto No perché non mi piace il testo Boschi, ma mi piace invece come stanno le cose adesso? Oppure vorrei cambiarle in un’altra direzione? Ma quale? E come? D’Alema si è dotato di una proposta “in soli tre articoli”. Parisi ha proposto un’assemblea costituente. Coloro che si autodefiniscono “sinistra” hanno un obiettivo chiaro (al di là di buttare giù Renzi)?
Ma ora – si dice – tocca a Renzi rispondere con i fatti alle aperture di un Pisapia (e di altri nella minoranza del Pd). E’ vero. E il cattolico presidente del Consiglio dovrebbe cominciare ascoltando e adottando le parole di Santa Madre Chiesa: “Non succederà nulla di tragico, né se vince il Sì, né in caso contrario” (come riferisce Massimo Franco sul Corriere di lunedì 19). La millenaria saggezza apostolica romana a quanto pare è ancora immersa nel dubbio.