Quando ero un bambino e andavo alle elementari non potevo sopportare il mio triste grembiulino nero, quello stupido colletto rigido di una specie di celluloide, per non dire del ridicolissimo fiocco blu. Non vedevo l’ora di passare alle medie per togliermi quel costume buffonesco e indossare finalmente giacca e cravatta (certo, non statemelo a dire, un altro tipo di costume… ma i pallini della cravatta me li sarei scelti io…). Magari con anche i pantaloni lunghi.
Ricordo un compagno molto ripetente e spilungone che il grembiule se lo arrotolava sotto la giacca appena usciva da scuola. Magari altri non ci facevano troppo caso. Tuttavia l’idea che l’autorità perduta della scuola italiana possa ora essere restaurata grazie a quegli odiosi indumenti mi ha abbastanza depresso. Fino a quando guardando i giornali ho capito che una vera restaurazione grembiulesca è impossibile.
Tutto merito del mercato e del consumo così odiati a sinistra: infatti ecco moltiplicarsi tutta una serie di grembiulini diversamente griffati, con cucite e stampate addosso le effigi degli idoli mediatici di bambine e bambini. Già si vedono mamme e forse persino papà intenti a scegliere i modelli preferiti da bimbi e soprattutto bimbe sensibilissime agli andazzi della moda grembiulesca.
Insomma nessun deprecabile effetto caserma, ma un fiorire di individualismi modaioli della più postmoderna specie.
Leggo che la ministra Gelmini (chissà quanto si arrabbierebbe a essere chiamata così) un po’ si corregge un po’ persevera. Anche lei – come Tremonti – se la prende sempre con il ’68. Un chiodo fisso della scuderia. Peccato. Essendo una giovane signora avrebbe potuto distinguere cose buone e cose cattive in quel passaggio storico che ha cambiato il mondo intero. Avrebbe capito che una forse necessaria ricostruzione di autorità nella scuola italiana non può che passare dalla qualità delle relazioni tra maestri e maestre (che tutti sanno essere la stragrande maggioranza) e i bambini. Una faccenda che non si risolve certo in un colpo solo con l’unicità della figura docente o con il linguaggio solo apparentemente più semplice della matematica. Purtroppo la ministra dichiara (intervista a Antonio Polito sul Riformista dell’11 settembre 2008) che “Berlusconi è l’unica ragione del mio impegno in politica”.
Ma non rassegnamoci. Siccome dice anche di voler restare al suo posto per tutto il tempo del governo e siccome ormai il mondo – anche quello politico – è delle donne, può darsi che si accorga che anche altre ragioni possono sostenere una passione politica forte come la sua.