Pubblicato sul manifesto il 19 luglio 2016 –
Prima di tutto i più sinceri auguri al manifesto, tornato nelle mani dei giornalisti e delle giornaliste che lo fanno. Finalmente una buona, ottima notizia, non solo per la sinistra. Mi auguro che questo giornale possa essere sempre meglio un laboratorio di conoscenza e di ricerca critica sulla realtà, senza la quale nessuna nuova idea potrà rianimare la politica.
In questi giorni mi è capitato di ripensare al rapporto tra informazione, politica, ricerca critica, nell’occasione dei 90 anni di Aldo Tortorella, che era direttore nazionale dell’Unità quando cominciai questo mestiere, tra il ’73 e il ’74, a Genova.
Proprio a Genova – città dove è iniziata da partigiano e da giornalista la sua avventura politica – Aldo è stato festeggiato in Comune martedì scorso, per iniziativa della Fondazione Diesse e del gruppo in consiglio comunale del Pd. Un segno che anche nel Pd non si è smarrito completamente il bisogno di coltivare la memoria e di riflettere sul processo che ha prodotto l’attuale crisi profonda del sistema italiano e in esso della sinistra. Ne hanno parlato con passione e rigore Mario Margini, promotore dell’iniziativa, e il sindaco Marco Doria.
Ma qui voglio ricordare anche un altro amico e compagno che ho avuto il piacere di rivedere a Genova. Stefano Porcù, novantenne anche lui – li ha compiuti l’anno scorso, – e parte della mia storia all’Unità. Mi ha regalato un piccolo denso libro di memorie e nella dedica preparata per me ho ritrovato la calligrafia alta e chiara che avevo letto sui fogli dattiloscritti con le sue correzioni alle mie prime piccole notizie di cronaca nera. Stefano era il “nerista” della redazione genovese dell’Unità, e il corso di formazione di un giovane cronista appena entrato cominciava necessariamente dal “giro di nera”, vale a dire le telefonate che si facevano a certe ore della giornata a tutte le “fonti” sulle disgrazie cittadine: questura, carabinieri, vigili del fuoco, vigili urbani , ospedali ecc. Poi, superati i primi esami, si poteva essere ammessi a qualche conferenza stampa della polizia, o partecipare ai sopralluoghi sulla scena del delitto del giorno.
Ma il libro di Stefano, intitolato col suo nome di battaglia, Nino, è soprattutto un resoconto dettagliato degli anni passati sulle montagne liguri, piemontesi e del Piacentino, per tutta la durata della Resistenza. Nino era – e resta – un uomo di azione e di organizzazione: proprio la chiarezza dei suoi rapporti scritti da “commissario volante” tra le varie formazioni partigiane gli valsero la collaborazione prima col giornale clandestino “Il partigiano”, e poi dopo la Liberazione con l’Unità.
Il pensiero che mi è venuto, spero non retorico, è che sia utile, guardando con preoccupazione sempre maggiore alle derive di un mondo stretto tra gli opposti del terrorismo islamista (una sorta di neofascismo secondo Alain Badiou) e della reazione occidentale nazionalista, identitaria, populista, razzista (un’altra sorta di neofascismo?), non dimenticare che sono ancora tra noi alcuni uomini e donne che a 17 o 18 anni dovettero rischiare la vita per battere i fascismi di allora. Ora mi sembra necessaria tutta la nostra intelligenza, e anche – direi – un di più di generosità democratica e unitaria, per saper rispondere ai rischi involutivi che abbiamo di fronte.
Intanto oggi alle 17,30, alla Casa del Cinema di Roma, un altro incontro con Aldo Tortorella promosso da un folto numero di amiche e amici. Il titolo è un programma, ironicamente serissimo: Le avventure della sinistra.