Pubblicato sul manifesto il 5 luglio 2016 –
Mi ha colpito l’accorato articolo di Pierluigi Battista sul Corriere della sera di domenica, dopo la strage degli italiani a Dacca. Ci dovremmo tutti liberare di una colpevole disattenzione, cecità, volontà di non capire la gravità e l’estensione globale della “guerra santa” che l’Islam integralista e terrorista sta combattendo contro l’Occidente, e contro di noi italiani.
E’ sempre giusto, di fronte alla tragedia di questa guerra, richiamare alla massima attenzione e anche alla reazione. Ma per fare che cosa esattamente?
Le ultime frasi dell’articolo alludono, mi sembra, alla necessità di una risposta sul piano militare, propriamente bellico. Si dice infatti: “Ascoltiamo le parole del papa Francesco sulla “Terza guerra mondiale” a bassa intensità, ma senza prenderle alla lettera. Aspettando il prossimo attentato. E di risvegliarci dal sonno degli indifferenti”.
Non sottovaluto in alcun modo l’esigenza di rispondere adeguatamente in termini militari e di intelligence all’azione del terrorismo di matrice islamica, anche se non credo che le parole di Francesco vadano interpretate in questa direzione.
Tuttavia mi sembrerebbe giusto non rimuovere il fatto che una vera e propria “guerra” contro il terrorismo, e lo stato afgano che in quel momento ospitava i seguaci di Bin Laden, fu aperta ben quindici anni fa e da allora non si è più interrotta dirigendosi tra l’altro contro l’Iraq di Saddam, la Libia di Gheddafi, e oggi contro Daesh. L’Italia ha partecipato e partecipa in vario e consistente modo a questo impegno bellico. Il presidente Obama, che pure ha caratterizzato i suoi mandati col tentativo di ridurre l’impegno militare degli Usa, ha appena ricordato il ricorso sempre più intenso all’uccisione mirata degli esponenti del terrorismo con i droni (e purtroppo l’”inevitabile” e contestuale uccisione, evidentemente meno mirata, di moltissimi civili innocenti).
Forse bisognerebbe anche chiedersi come mai, a fronte di tanto vistoso impegno bellico, i risultati siano così poco incoraggianti.
Non pretendo certo di avere la risposta, ma mi sembra convincente la tesi avanzata, sia pure con argomenti anche diversi, ieri (lunedì 4) sulla Repubblica da Renzo Guolo, e sul Corriere della sera dall’esperto americano di origine iraniana Vali Nasr. L’Islam fanatico e violento ha un potere di attrazione, tanto sul giovane immigrato non integrato delle nostre banlieue, quanto sullo studente di buona famiglia di Dacca, perché rappresenta una risposta radicale non solo ai “costumi” culturali e civili occidentali che vengono percepiti come il demonio da questo settarismo religioso, ma anche a un modello di globalizzazione che viene subita da culture diverse dalla nostra come una nuova colonizzazione.
Venuto meno il bipolarismo tra capitalismo da un lato e socialismo-comunismo dall’altro, l’estremismo di matrice islamica rischia di continuare a riempire a lungo quel vuoto in molteplici aree del mondo.
Svegliarsi dal nostro sonno potrebbe voler dire prima di tutto rendersi conto di quanto il “progresso” portato dalla globalizzazione capitalistica e prevalentemente occidentale contenga anche, e in grande misura, dolore e ingiustizia sociale acutissimi. E di quanto sia necessaria una critica radicale di questo dolore e di questa ingiustizia, capace di indicare alternative credibili nel segno della democrazia e della dignità e libertà di tutti gli uomini e di tutte le donne. Lasciandosi definitivamente alle spalle gli errori tragici del “comunismo realizzato”, e riuscendo a soppiantare il nichilismo dei kamikaze che uccidono nel nome di Allah.