Pubblicato sul manifesto il 24 maggio 2016 –
Marco Pannella era secondo Paolo Guzzanti, che lo conosceva bene, un ” Saturno che mangiava i suoi figli politici”, un uomo che – tra tante qualità geniali – sapeva essere “sempre più incattivito, vanitoso oltre la soglia del sopportabile e gelosissimo di chiunque potesse dargli ombra”.
In questi giorni di celebrazioni, ricordi e complimenti, ho ascoltato altre testimonianze concordi su un punto: lo sconcerto e la rabbia per la capacità del capo radicale di distruggere improvvisamente ciò che aveva appena costruito. Mi sono chiesto se in fondo anche questa sua attitudine non facesse costitutivamente parte di una concezione della politica a suo modo basata sulla ricerca del massimo dell’autorità e del minimo del potere. Questa formula l’ho imparata dal femminismo della differenza e in particolare da Luisa Muraro e Lia Cigarini. Non sarà un paradosso avventato accostare il profeta assoluto dei diritti a una posizione pratica e teorica che ha fatto sua la massima di Simone Weil “non credere di avere dei diritti”?
Credo che potrebbe essere istruttivo esaminare la parabola di Pannella proprio alla luce della differenza, in questo caso radicalmente maschile. Leggere in questa chiave l’uso dirompente che ha sempre fatto del proprio corpo e della propria sessualità.
Ho appena letto – sul Foglio del lunedì – una lunga intervista che Pannella rilasciò a Playboy nel gennaio del ’75. I radicali, dopo il successo del No al referendum che voleva abrogare la legge sul divorzio, erano in ascesa. Pannella torna due o tre volte su un concetto che traduce, senza citarlo, il famoso slogan femminista “il personale è politico”.
Alla domanda “da quanti anni sei in politica? Si ha l’impressione che tu ti occupi di politica da sempre” risponde: “L’impressione è esatta. Credo di aver capito, già piccolissimo, che non ci può essere divorzio fra vita pubblica e vita privata, che infatti della vita privata diventano occasione per fare politica e quindi vita pubblica”. E più oltre: “È sempre l’esperienza personale,privata, che si trasforma in politica e ti da la forza di combattere le battaglie” . Alla vita triste e solitaria dei politici di professione, che dopo le sedute in Parlamento si addormentano al cinema, Pannella contrappone il vitalismo riassunto da quello che definisce il suo “manifesto “, la frase di Rimbaud sul “ragionevole sregolamento dei sensi”.
È un fatto che il partito da lui inventato è riuscito a svolgere un grande ruolo, anche a livello internazionale, senza avere oggi rappresentanti nelle istituzioni o detenere posizioni di potere. Non voglio dire che sia un modello, ma che potrebbe essere un’occasione di riflessione per tutti coloro che oggi, specialmente a sinistra, e specialmente se maschi, nutrono una quantità di passioni tristi, incapaci di ritrovare e ricreare una dimensione politica che scaturisca dal desiderio, e che non rimuova quindi una imprescindibile dimensione erotica.
In questi stessi giorni mi è capitato di partecipare a incontri politici in cui si è discusso del rischio che in questo momento storico sia minacciata la differenza sessuale, sotto la pressione di una tendenza neutralizzatrice. Qualcosa che minaccia la libertà che dalla soggettività consapevole della differenza è determinata.
Io penso che la differenza si manifesti invece in numerosissime forme. Con immagini e linguaggi assai diversi da quelli che la mia generazione ha in qualche modo elaborato. La cosa riguarda soprattutto noi uomini: la parabola del maschio Pannella può suggerirci il proposito di una politica efficace e autorevole ma distante dal potere. E anche dagli eccessi poco gentili del Saturno-Marco?