Pubblicato sul manifesto il 2 febbraio 2016 –
Il mondo glbt e molti/molte che la pensano diversamente da chi ha manifestato al Family Day a Roma, hanno lanciato il contro-slogan, diffuso in rete e dai media, Family Every Day. Non una sola giornata a difesa integralista della “famiglia tradizionale”, ma – se ho capito – la esistenza quotidiana delle famiglie reali, nei loro differenti modi di vivere gli affetti, le identità sessuali, i rapporti con i figli, naturali o adottati, di affrontare i problemi della convivenza giorno per giorno.
Qualche amico e amica di questi mondi favorevoli al riconoscimento più largo della libertà sessuale che fa sempre più parte della realtà sociale in cui viviamo però non ha gradito fino in fondo il contro-slogan. Non si sta esagerando in questa gara a chi è il vero propugnatore e difensore dei valori familiari, per quanto intesi in modi per molti versi opposti? Non si rischia di dimenticare le radici individuali di qualunque forma di relazione e di libertà (compresi i famosi diritti, in capo alla singola persona)?
Letizia Paolozzi ha ricordato (su Dea: “La famiglia è morta. Viva le famiglie”) le battaglie, soprattutto femministe – ma anche molti giovani maschi si ribellavano agli autoritarismi familiari – contro una “istituzione” vissuta come architrave di un sistema oppressivo: “Nora – scrive Letizia – ha sbattuto la porta della “Casa di bambola”. Tutto sommato, non so cosa ne pensiate voi, però credo che l’opera di “rottura del sistema patriarcale attraverso la dissoluzione dell’istituto familiare ad opera della donna” (Carla Lonzi) sia stata una buona cosa. Si sono aperte delle crepe nella superficie (che pareva compatta) della sessualità. Non c’è più un solo modello di famiglia. Benché l’oppressione nei rapporti uomo-donna si annidi ancora tra le mura domestiche: lo dimostra il numero altissimo di violenze che lì vengono perpetrate”.
Ho visto citata la vignetta icastica di Elle Kappa: una signora dice: “Una vergogna le nozze gay!” e l’altra risponde: “La famiglia normale è quella formata da un uomo che ammazza una donna”. Non voglio sostenere che la famiglia si abbatte non si cambia. Però un po’ cambiarla sì. Continuare a cambiarla, combattendo le radici della violenza che vi si annidano e vivendo in modo sempre più sincero – mi verrebbe da dire – i sentimenti che vi si coltivano, i conflitti che esplodono, le parole che si scambiano.
Io mi auguro che Renzi e il Pd mantengano le promesse sulla legge Cirinnà e che in Parlamento si trovi una maggioranza che la approvi. Mi sembra un buon compromesso, stepchild inclusa. Ma l’occasione di questo scatenamento di passioni personali, pubbliche e politiche, ripulita dei tanti odiosi strumentalismi, dovrebbe essere colta per approfondire la ricerca e il confronto. L’esplosione a “scoppio ritardato” della discussione sulla maternità surrogata – per esempio – dovrebbe stimolare domande non solo sul ruolo della maternità, ma anche su quello della paternità. A partire dalla differenza che balza agli occhi e al cervello di fronte a due uomini o a due donne con i propri figli. Ma é possibile farlo senza stigmatizzare immediatamente il desiderio maschile di prendersi cura di una piccola creatura?
Un’altra rigida cesura da superare mi sembra quella tra laici e cattolici. Come propongono i 200 capi Scout che hanno contestato il Family Day: “Interroghiamoci su cosa sia una famiglia, incontriamo le famiglie arcobaleno, confrontiamoci con associazioni quali Nuova Proposta che raggruppano i cattolici omosessuali. Evitiamo di pontificare su queste tematiche senza un valido confronto (…) ci sono ragazzi che si sentono esclusi e discriminati e che ci accusano di ipocrisia».