Pubblicato sul manifesto il 12 gennaio 2016 –
Che cosa abbiamo percepito dei “fatti di Colonia”?
Come maschio tendenzialmente responsabile avverto una spinta a pronunciarmi su una questione che sta scuotendo l’identità dell’Europa, ammesso che esista da qualche parte. Nello stesso tempo qualcosa mi trattiene. Credo che dipenda proprio dal clamore abbastanza cacofonico che le violenze avvenute in quella e in altre città tedesche a Capodanno hanno suscitato. Mentre resta tuttora piuttosto oscura l’effettiva dinamica degli avvenimenti, delle responsabilità, soggettive e collettive.
L’ultima corrispondenza letta sulla Repubblica (lunedì 11) parlava di un solo arresto e di una ventina di denunciati. Non si tratterebbe più – come pure era stato scritto nei giorni precedenti – di profughi da poco arrivati in Europa, ma di bande di giovani e giovanissimi “euronomadi”, questo il neologismo offerto al lettore, nordafricani ma non richiedenti asilo, abituati a spostarsi nelle città europee, e in questo caso non si capisce bene fino a che punto guidati da una parola d’ordine (“molesta e aggredisci la donna bianca”) lanciata non si sa da chi.
Una inedita tattica di guerriglia dell’Isis? Una provocazione di qualche xenofobo nostrano? Una sorta di autoconvocazione bullista spontanea grazie a whatsapp?
Resta il fatto, gravissimo, delle violenze e delle molestie agite contro le donne, come affermano centinaia di denunce e le testimonianze. E resta certamente il problema di un difficile incontro-scontro tra culture e civiltà diverse, diversamente attraversate dalle radici di un maschilismo patriarcale che non è estraneo a nessuna, ma che assume connotati che vanno riconosciuti nelle loro attuali distinzioni.
Per questo è importante che cosa pensano e dicono gli uomini stessi. Ma mi sembra ancora presto per tentare un giudizio, proporre un tema. Mi hanno colpito due interventi credo culturalmente e politicamente molto distanti, come quelli di Giuliano Ferrara sul Foglio del lunedì, e di Valerio Magrelli sulla Repubblica. Il primo ragiona in modo raffinato sulla fenomenologia del “branco” di Colonia e il contesto politico e culturale in cui si manifesta, poi invoca la soluzione: “Ci vogliono padri, autorità, professori, poliziotti, avvocati difensori e leggi di dissuasione della libertà panica dei costumi…”. Il secondo paragona le violenze di Colonia alla strage del Bataclan e alla “Notte dei cristalli” del 1938 contro gli ebrei. Le donne sono definite come “ soggetti storicamente più fragili della nostra società”, “l’anello più debole”, “l’elemento più discriminato”.
Non emerge un paternalismo trasversale quantomeno anacronistico?
Ma, appunto, forse è bene attendere che si sedimenti un po’ meglio il sempre arduo rapporto tra i fatti e le interpretazioni.
E a proposito dei dilemmi della percezione segnalo quello che mi pare un non trascurabile epifenomeno del clima sempre più eccitato di cui Colonia è stata nuovo detonatore. Ne ha scritto in modo totalmente condivisibile Luigi Ferrarella sul Corriere della sera: gli esponenti del governo – nel caso i ministri Alfano e Boschi – ammettono candidamente e platealmente che un provvedimento in sé giusto a proposito del reato di clandestinità per gli immigrati non bisogna adottarlo perché la percezione della realtà della sicurezza dei cittadini è alterata (naturalmente per colpa dei media). Non vale la giustizia, ma l’opinione (errata). I filosofi che recentemente si erano appassionati al “ritorno della realtà” contro certi pensieri deboli dovranno – immagino – farsene una ragione. E con loro i “tecnici” come il capo della polizia Pansa.