Pubblicato l’8 gennaio 2016 su Alfabeta 2 –
La donna ama l’uomo; l’uomo ama la donna. Aspirano a un destino comune: fino a qualche tempo fa, questo destino era coronato da marcia nuziale, fiori d’arancio e poi da uno (o più) bambini. Ripeto: «Fino a qualche tempo fa». Giacché oggi la voglia di sposarsi scarseggia. Nel 2013, per la prima volta, i matrimoni in Italia sono stati meno di 200 mila, cioè 194.057. Il 42,5 % civili, mentre aumentano le convivenze e insieme le LAT (Living Apart Together), cioè coppie che stanno insieme però ognuno sotto il proprio tetto (libertà va cercando, ch’è sì cara?)
Tanto per avere un’idea del cambiamento: 246.613 i matrimoni nel 2008. Nel 1965, 399 mila, di cui solo 1,3% civili. Dopodiché, negli anni della crisi sono anche diminuiti i figli (trend già affermato da tempo). La risalita del numero di figli per donna tra 1995 e 2008 (da 1,19 figli per donna a 1,45) negli anni recenti è andata tutta persa: ora si rinuncia al secondo e terzo figlio e si rinvia il primo. Nel 2008 nascono 569.366 bimbi. Nel 2014 record assoluto negativo: nascono 509.000 bimbi (dal libro di Roberta Carlini, Come siamo cambiati. Gli italiani e la crisi, Laterza 2015).
Si potrebbe sostenere che queste cifre vengono incontro a una vecchia ambizione del femminismo: la distruzione della famiglia. Avevamo, sicuramente, delle buone e legittime ragioni. Ma la famiglia è cambiata. E siamo cambiate/i noi che la guardiamo con occhio diverso. L’unione tra due è un bene da difendere perché «fa» società e la rende meno selvatica, meno brutale. Volete una controprova? I senza tetto, gli homeless, annaspano per via della crisi economica ma anche di quella della famiglia. Quanto ai legami affettivi, il loro valore lo dimostrano i benefici, le protezioni (li chiamano diritti) attribuiti alla coppia unita in matrimonio. Elementare, Watson! Ci riferiamo al duo maschile/femminile. Finora nessun riconoscimento alle coppie dello stesso sesso. Quasi che la democrazia, che pure non ha una forma assoluta ma procede per approssimazioni, le condannasse a restare nell’ombra; quasi rifiutasse di dare loro «accoglienza».
Eppure, che l’unione a due sia un bene l’ha scritto pure il direttore del quotidiano della Conferenza Episcopale, Avvenire, poggiando su una interpretazione estensiva dell’articolo 2 della Costituzione, in cui si attribuisce alle unioni omosessuali il valore di formazione sociale «ove si svolge la personalità» del singolo. Adesso è in dirittura d’arrivo il DDL Cirinnà sulle unioni civili. Si dia pace NCD, invece di lanciare fulmini e minacciare sfracelli: nel DDL non si parifica l’unione civile al matrimonio eterosessuale. Qualcuno lo giudica un orrido compromesso? Succede per qualsiasi legge. Ma nel nostro caso la legge pare piuttosto sbilenca dal momento che cita espressamente l’unione (omosessuale).
Sarebbe importante che il 26 gennaio prossimo, quando il DDL approderà nell’aula del Senato, i parlamentari non lo trasformassero in un campo di battaglia intorno alla stepchild adoption(considerata una specie di porta dell’inferno aperta sull’adozione e sulla pratica dell’utero in affitto). Probabilmente non andrà così. Ci troveremo con quella roba fumosa dell’«affido rafforzato»? Certo, nelle aule parlamentari si aggirano deputati e senatori che intrecciano odi alla coppia babbo-mamma. Spostarsi da quel gruppo statuario non è consentito.
Non mi piace (come, ad esempio, la reversibilità delle pensioni solo per le coppie gay), tuttavia capisco che il campo giuridico e quello della riflessione hanno bisogno di luoghi e linguaggi differenti. Quando i campi si confondono, producono appelli (come nel gruppo Se non ora quando – libere) sorretti dalla proibizione e dal divieto.
A me pare un errore. Preferisco ricercare un senso alle relazioni (nella famiglia, con i figli) attraverso storie di affetto, solitudine, mancanza, dono, egoismo, amicizia. Preferisco interrogarmi sulla «coscienza del limite» e sul desiderio, anche perché mi è chiaro che qualche lezione di «politicamente corretto» non cancella secoli di consuetudini (spesso egoiste, competitive, individualiste) dei maschi Alfa. E dell’invidia che coltivano per il potere materno. A proposito di questo potere noi donne, teniamo davvero a restarci incollate? Oppure in questo modo rischiamo di affermare non la differenza, ma una divisione normativa di ruoli che alla fine conferma il mondo che volevamo ribaltare?
Complicato andare alla radice dei problemi. Quanto al Parlamento, una volta approvate le unioni civili, dovrebbe rimettere mano alle adozioni: norma che funziona male e che pure né le coppie gay né quelle eterosessuali hanno impugnato. Almeno non con la potente leva agita per altri «diritti» fino adesso non riconosciuti. Sarà perché vince il desiderio assoluto che il figlio nasca dal «proprio» seme? Sarebbe interessante discuterne e ascoltarsi. Non si vede bene che con il cuore, era il segreto confidato dalla volpe al Piccolo principe. Ma ho paura che il Parlamento sia piuttosto strabico.