di Monica Luongo
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Sotto il cielo dei droni le reazioni agli attacchi terroristici a Parigi, Bruxelles, e Bamako sono stati differenti. La prima è sempre la presa di distanza, la differenziazione tra musulmani buoni e cattivi, anche se opinionisti, giornalisti e anche privati cittadini sono confusi quanto noi e molti di loro ritengono responsabile l’Occidente di rifiutare la religione e cultura islamiche e vedono il terrorismo come inevitabile risultati. Numerosi quelli preoccupati che la loro possibilità di avere un visto per l’Europa sia notevolmente ridotta. Nessuno, ma proprio nessuno, pensa di avere stereotipi e pregiudizi nei confronti dell’Occidente.
Sotto il cielo dei droni per tre giorni, dopo l’attacco di Parigi, il più popolare quotidiano pakistano ha pubblicato in prima pagina, accanto alla cronaca del terrore, la notizia dell’omicidio di una ragazza musulmana, gettata sui binari della metro a Londra: in realtà l’inchiesta è stata appena aperta, pochi gli elementi che permettono di ipotizzare un omicidio a sfondo islamofobico, ma la notizia figurava così bene accanto ai morti in Francia per alimentare la percezione della discriminazione e della persecuzione contro ogni musulmano che sì, in fondo chi se ne frega dei fatti e delle inchieste…
Sotto il cielo dei droni, il Pakistan ha dovuto mettere di nuovo mano a due scottanti e ormai inevitabili questioni: la gestione dei quasi due milioni di rifugiati afghani nel paese (la potenziale pericolosità di alcuni di loro, le ipotesi di rimpatrio, i rapporti con l’Afghanistan relativi alle strategie antiterrorismo) e il rimpatrio degli immigrati entrati illegalmente nei paesi UE. Ieri la visita di una delegazione europea a Islamabad ha cancellato in fretta una serie di polemiche legate a un possibile rifiuto da parte del governo pakistano di riprendere in patria i cittadini illegali.
In realtà e come sempre, sotto il cielo dei droni avvenimenti e dinamiche non sono di facile comprensione. L’attacco di Parigi è stato paragonato alla strage di 136 bambini e alcuni adulti nella scuola per i figli di militari a Peshawar lo scorso dicembre da parte di terroristi; attacco che ha portato al ripristino della legge sulla sicurezza, all’aumento di restrizioni nella libertà di movimento dei civili, alla deportazione di un milione e mezzo di abitanti dal Nord Waziristan, dove si nasconde il maggior numero di terroristi, territorio raso al suolo. In realtà, i fatti di Parigi e quelli di Peshawar non hanno correlazioni: il primo fa parte della strategia estesa di Dae’sh contro l’Occidente, il secondo è stata una chiara esibizione di forza da parte dei terroristi contro l’esercito pakistano. Di sunniti e sciiti, degli Stati che li finanziano, delle minoranze etniche e religiose continuamente vittime di attacchi mortali, non si fa mai menzione. Così il puzzle della comprensione non è completo perché in molti casi e da ogni parte la consapevolezza è una dea che ha perso un occhio.
Sotto il cielo dei droni si passano serate che difficilmente potrei vivere in Italia: in un ristorante indiano (l’unico dove vedo donne servire ai tavoli) siamo italiani, francesi, pakistani, americani e burmesi e parliamo (anche) di Parigi. In presenza degli amici francesi quelli pakistani sembrano imbarazzati e parlano poco: i francesi sono molto arrabbiati e continuano a ripetere che i musulmani sono stati sempre i benvenuti ma le regole sono le regole e tutti devono adattarsi e per i rifugiati che stanno continuando ad arrivare, beh bisognerà vedere… Gli americani sono per attaccare e colpire il nemico a casa sua, sempre e comunque. Nessuno ricorda che questa è anche una guerra di religione che ha colpito proprio in Francia, il paese europeo che più degli altri ha fatto bandiera del rispetto per la laicità.
Sotto il cielo dei droni, in Pakistan come negli altri paesi musulmani, nessuno alza abbastanza la voce per prendere le distanze dai terroristi, che hanno poco dell’Islam e tutto del fanatismo. E quel nessuno fatto di milioni di donne e uomini, è l’unica possibile voce capace di sovrapporsi a quella della violenza.