Per le famiglie che fuoriescono dal codice sessuale binario, quello primario per la Chiesa e unico legittimo, fondato sulla coppia uomo donna, il Sinodo sulla famiglia svoltosi nelle ultime settimane e da poco concluso, non ha fatto sconti. Fatto salvo l’approccio misericordioso, che il Papa aveva già di suo manifestato in varie occasioni, il Sinodo è rimasto al punto di sempre, fermo al tradizionale e scontatissimo non licet al matrimonio omosessuale e ai legami familiari che una coppia gay o lesbica possa eventualmente costruire.
Così la relazione finale dell’Assemblea dei Vescovi afferma sì che “ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, deve essere rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto” ma ribadisce che il matrimonio omosessuale è cosa diversa da quello eterosessuale. Il punto è stato approvato con 221 voti a favore e 37 contrari. Tutto questo, che era ovviamente nelle cose e non era davvero pensabile aspettarsi altro, rimane altrettanto ovviamente distante dai processi in atto su questo terreno, dai processi di soggettivazione, dai desideri e dalle aspettative e dalle esperienze di vita di molti, molte, e potrà alimentare, dove ci siano forze impegnate in questa direzione, torsioni all’indietro o grette resistenze conservatrici, come nel caso della legge sulle unioni civili in Italia. Che è soltanto una legge spiraglio e ai nostri cattolici conservatori appare una mossa diabolica.
Tuttavia se il Sinodo ha inteso con nettezza circoscrivere quegli affetti, amori, legami in una diversità che rimane ancora estranea ai codici della Chiesa, la benevolenza delle parole va colta – non bisogna lasciar cadere nulla, nulla deve essere perduto, soprattutto su certi terreni – quindi letta per quello che sottintende e aggiunge all’approccio tradizionale. Perché la Chiesa, come sempre, non rimane estranea al suo tempo e cerca di tenere aperte vie di fuga e di accomodamento successivo rispetto alle sue stesse rigidità e fissazioni.
Se la forza della Chiesa di Roma è racchiusa storicamente nella sua capacità di stare al mondo e di non fuggire o rinchiudersi di fronte ai cambiamenti che avvengono nel mondo, compresi quelli più ostici e difficili, il Sinodo sulla famiglia, su un’altra questione – quella relativa alla comunione alle persone divorziate – certo diversa ma niente affatto semplice, trattandosi del combinato disposto di due sacramenti fondamentali come il matrimonio e la comunione – ha confermato l’abilità dello e nello stare alle cose del mondo. Un insieme di sapienza e astuzia, strategia di lungo periodo, potremmo dire con il linguaggio della politica, del tutto congruo per la Chiesa, e tattica del qui e ora, di cui Papa Bergoglio è straordinario protagonista.
Una complessa trama politica e di dottrina, di interpretazione della dottrina e di mediazione sul terreno della dottrina, ha così accompagnato il complicato percorso del Sinodo che ha portato all’apertura della Chiesa nei confronti delle persone che hanno divorziato e si sono risposate. La questione è stata oggetto di un duro contenzioso in seno all’assemblea dei vescovi. Escluse, secondo la dottrina cattolica, dai “sacramenti” (comunione e matrimonio, in primis) le persone divorziate potranno essere accolte di nuovo nella comunità, essere di nuovo integrate, avere di nuovo la possibilità di ricevere la comunione. Quest’ultimo esito non è però automatico: si potrà infatti concretizzare soltanto dopo un percorso di “discernimento” nelle mani della Chiesa e dei suoi ministri. Da oggi, spiega il punto 84 del testo sinodale, «occorre discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate». Perché, viene spiegato, pur partendo da una norma generale, come è appunto l’esclusione dalla comunione per chi divorzia, è necessario per la Chiesa riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni “non è la medesima in tutti i casi”. Abbandonare o essere abbandonato, abbandonata, per esempio. E il discernimento pastorale deve farsi carico di analizzare, capire, vagliare le diverse situazioni.
“Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi”. Si è trattato di un approdo tutt’altro che scontato, passato alla fine per un solo voto più del quorum (178 a 177), e avendo l’Assemblea seguito la complessa via tracciata dai teologi del “Germanicus”, il gruppo con al seguito il riformista Kasper e Muller, prefetto dell’ex Santo Uffizio. Una decisione imperniata sul criterio del discernimento, da utilizzare, spiegano gli innovatori, restando fermo il concetto della dottrina che non cambia, non può cambiare, come tutti ripetono, non solo i conservatori, ma va applicata, con discernimento, caso per caso come in Tommaso d’Aquino.
Il fedele, sotto la guida di un sacerdote, sarà dunque alle prese con la sua coscienza, e al sacerdote spetterà di discernere il grano dal loglio. Il discernimento fu anche il metodo di Sant’Ignazio di Loyola negli Esercizi spirituali e la proposta non poteva non trovare d’accordo il nuovo Papa, non soltanto perché Francesco è gesuita ma perché attraverso il ricorso a tre categorie di fondo della funzione pastorale, messe in campo per arrivare alla soluzione– l’accompagnamento, il discernimento, l’integrazione – il Sinodo ha effettivamente risposto a una preoccupazione più volte sollevata da Papa Bergoglio nei confronti di persone divorziate, escluse dalla comunione, che oggi non sono più certamente l’eccezione alla regola dell’indissolubilità del matrimonio.
Ed è del tutto inutile misurare la lunghezza del passo compiuto su questo specifico terreno, chiedersi se sia stato piccolo o grande. La Chiesa è la Chiesa e ha la sua misura, i suoi criteri, le sue aperture e le sue rigidità. Il criterio del discernimento, che oggi ha guidato il Sinodo verso soluzioni di accoglienza e perdono, e che ha in sé potenziali doti di saggia efficacia operativa, in altri tempi accompagnò ben altre vicende storiche del Cristianesimo, le sue lotte interne, le sue divisioni, i suoi scempi. Di eretici e donne, soprattutto. Il passo compiuto dal Sinodo va misurato per quello che rappresenta oggi, in rapporto al ruolo fondamentale che la Chiesa attribuisce ai sacramenti e, in questo caso, al sacramento del matrimonio, alla sua indissolubilità di fronte a Dio, alla portata di compimento del disegno divino che esso racchiude. Fuori da questo campo, il passo può apparire ed è piccolissimo. Dentro questo campo, il passo non è più così piccolo, perché segna uno scarto, sta a testimoniare l’attenzione al tempo, la necessità di aprire dei varchi “al limite”, di offrire altre sponde e occasioni che fino a l’altro ieri erano impensate e impensabili.
Papa Bergoglio è soprattutto un leader politico, impegnato in una sfida epocale da cui forse, almeno in parte, dipenderà il destino della Chiesa stessa. Scandali indicibili, corruzione, una Curia romana ridotta a fortilizio di un potere autoreferenziale, una caduta senza precedenti della forza di attrazione del messaggio cristiano, che è un tratto distintivo dell’epoca secolarizzata che viviamo ma anche della mondanizzazione del potere della Chiesa. Senza dimenticare la sfida dell’Islam, ormai arrivata nel cuore dell’Europa. Papa Bergoglio deve, vuole, è fortemente impegnato a far fronte ai disastri e deve misurasi con i profondi mutamenti della contemporaneità, che sono tali da mettere in forse molte cose. La stessa sopravvivenza della Chiesa – per quello che essa è stata storicamente – o un suo ulteriore drastico ridimensionamento.
Il Sinodo sulla famiglia ha avuto a che fare con tutto questo e con le grandi contraddizioni e diversità che attraversano a Chiesa, anch’essa globalizzata.