Piomba come fulmine a ciel sereno nell’acceso dibattito sulla prostituzione, tra abolizionismo e legalizzazione, la linea scelta dal difensore di Claudio Tarantini, accusato di reclutamento di prostitute in favore di Sandro Frisullo, allora vice-presidente (Pd) della Regione Puglia. “Non fu prostituzione ma la rivendicazione del diritto di queste donne alla propria libertà personale e all’utilizzo del proprio corpo”, ha iniziato l’arringa l’avvocato Gaetano Castellaneta, nel processo escort a Bari in cui il suo assistito è imputato insieme con altre sei persone, fra le quali il fratello Gianpaolo e Sabina Beganovic.
Un tocco di modernità, si potrebbe dire, in una squallida storia di favori scambiati e cercati. L’avvocato, che deve portare a casa l’assoluzione o la minor pena possibile per i suoi clienti, introduce nel dibattimento concetti insoliti, che provengono da una discussione vera, anche piuttosto virulenta.
Che si può riassumere nella seguente domanda: le donne sono libere di usare il proprio corpo per ottenere favori, vantaggi? E questo tipo di comportamento è definibile come prostituzione? Dico subito che io penso di no, il che non significa che non sia riprovevole, se danneggia altre e altri. Va detto che l’avvocato Castellaneta è furbo, dribbla tutto il dibattito. Non c’è prostituzione, argomenta, perché queste sono donne libere. Hanno scelto di agire per propria volontà.
La libertà è esattamente il punto in questione. L’11 agosto 2015 Amnesty International ” ha votato una risoluzione per la depenalizzazione del sex working, una decisione che ha provocato reazioni in tutto il mondo, a cominciare da famosi personaggi di Hollywood come Meryl Streep, che hanno firmato un appello per sostenere che prostituirsi non è un diritto umano.
Parlando di sex workers, naturalmente non si parla di tratta, schiavitù, persone trafficate. Si parla di chi “sceglie” di fare la/il sex-worker, parola che per molte non è mai applicabile a questo campo.
Ma ora non voglio entrare in questa discussione, anche se da anni ascolto Pia Covre e il Comitato per i diritti delle prostitute. È interessante invece tornare al processo, al tocco innovativo introdotto dal difensore, che per salvare il suo assistito deve argomentare che non ci fu nessuna organizzazione, nessun reclutamento, quindi nessuno sfruttamento.
Le donne hanno diritto all’utilizzo del proprio corpo è una declinazione imprevista e particolare dell’antico slogan femminista “il corpo è mio e lo gestisco io”. Ma se si è libere, se cioè non si è sotto il dominio di qualcuno, i limiti sull’uso di sé non possono venire da un’antica morale sessuale, quella che divideva le donne tra perbene e permale, e considerava che le donne perbene non potevano avere rapporti sessuali se non nel matrimonio. È una morale che non esiste più, e non corrisponde più a nessun comportamento reale, almeno nel mondo occidentale.
Allora, per tornare al processo barese, nel cui merito saranno i giudici ad accertare se ci sono i termini per stabilire se si trattasse di prostituzione, tutto bene? Le ragazze sono libere di trarre il migliore profitto dal proprio (bel) corpo?
Non è solo la logica tutta di mercato, tutta neoliberista che mi turba, nelle parole dell’avvocato, quando dice che le ragazze cercavano in quelle serate “opportunità di lavoro, rivendicando il diritto di utilizzare la propria immagine”.
Cercare favori, a svantaggio di altri, è un atto negativo. Sicuramente sul piano etico, a volte, a seconda delle circostanze, anche sul piano giuridico. Se si è libere, si è responsabili. Questo mi suggerisce l’arringa di un avvocato che bada a proteggere il suo cliente, e della libertà delle donne fa uso per i suoi scopi.
pubblicato su Huffington Post