Si poteva sperare che, dopo l’insuccesso della lista “aborto, no grazie”, si tornasse sì a parlarne, di aborto, ma con più sobrietà e pudore. Invece – ancor prima delle ultime dichiarazioni del Papa – la scelta di Repubblica di pubblicare in prima pagina (30 aprile) la lettera di una giovane donna incinta che si dichiara costretta all’aborto dalla precarietà delle sue condizioni economiche, ha riportato il dibattito dentro una sorta di reality show.
La data dell’interruzione di gravidanza è già fissata e pende, come un ricatto, sulla coscienza di tutti. Quella madre desidera il figlio, e quindi quel bambino esiste già, compiuto. Chiuso però in una sorta di “braccio della morte” (la definizione è de Il Foglio , 4 maggio). Così ci si interroga.
Si interrogano molto coloro che guadagnano dai 4 mila euro in su. Sono troppo pochi 1300 precari euro al mese per tirare su un bambino? Sarebbero sufficienti, se ci fosse l’amore materno, quello vero, e lo spirito di sacrificio dei bei tempi andati?
Per Fausto Carioti, ad esempio, bastano e avanzano, visto che la coppia in questione, ospitata da una vecchia zia, non deve neppure pagare l’affitto (Libero, 1 maggio). La cifra necessaria sarebbe invece di 2000 euro?
L’autrice della lettera dice di sì e suggerisce -come scrive Sofri (Repubblica, 3 maggio)- “un ovvio programma di governo”.
Nel frattempo ecco pronti i numeri verdi del movimento per la vita, gli indirizzi dei centri di accoglienza e un generoso imprenditore anonimo che si dichiara disposto a versare a Sandra (questo è il nome di fantasia attribuito alla donna) 700 euro al mese fino a che il bambino non andrà alle elementari (Il Giornale, 3 maggio). “La maternità in Italia è diventata un lusso privato, un desiderio che si paga tutto in prima persona, come se un figlio non fosse un bene prezioso per la società”, scrive Eugenia Roccella (Il Giornale, 1 maggio).
Nel caso di Sandra la società dei generosi si è data da fare e il lieto fine è garantito. Sandra ci ha ripensato e rinuncia ad abortire. “Per ragioni morali”, dice a Repubblica (4 maggio) e, come tutti, ne gioiamo.
Ma resta un disagio. Il dilemma può essere solo contabile? “Perché farne uno spettacolo? Non c’è bisogno di un vita perfetta per fare un bambino” scrive un’anonima sul sito forum.alfemminile.com. Il contesto, un ambiente favorevole alla nascita, un po’ di quattrini, aiutano a far sì che la scelta, di essere o non essere madre, sia più libera. Ma non c’è contesto che tenga senza il sì profondo di una donna che accetti di trasformare il suo corpo e il suo destino (altro che fino alle elementari) per far crescere una nuova vita.
Quel sì Sandra lo aveva già espresso.