Dopo Mafia Capitale, adesso è scoppiata anche a Palermo la bufera corruzione. D’altronde, l’Italia – secondo Trasparency International – occupa la sessantanovesima posizione nella graduatoria della corruzione percepita.
A Roma si scopre un gruppo cresciuto sulle ruberie. Metodi spicci; fame di denaro. Che abbia gli stilemi della mafia non è sicuro. Somiglia al punteruolo rosso del documentario di Gianfranco Rosi, Sacro Gra. Ha succhiato non solo denaro, commesse, assegnazioni, dazioni, mazzette ma la linfa della solidarietà. Rischiano di venire travolte le cooperative sociali, il Terzo Settore, l’accoglienza dei migranti e rifugiati, l’attenzione ai detenuti quando escono dal carcere.
La scoperta del gruppo è stata che ci si può guadagnare “un botto” dal Cup (Centro unico di prenotazione per le visite mediche) e dai poveri cristi, da quell’andare e venire continuo di zingari, neri, rumeni, trans, pusher, disoccupati, tossici sull’autobus 105, lungo le strade consolari. Saltati i ritmi collettivi dettati dalla fabbrica, ormai i tempi sociali non seguono nessuna sincronizzazione.
Fatme e Voxson: do you remember?
L’impressione è che la vita di molti a Roma dalla superficie sia scivolata nei terreni coperti di sterpaglie, siringhe, copertoni, calcinacci o precipitata verso i sottopassi del Grande Raccordo Anulare dove, tra i cartoni, dormono i più sfigati.
Nel ’54, corrispondente da Roma per la radio di Brema, Ingeborg Bachmann scriveva: “Difficile è vedere cosa c’è sotto terra: luoghi d’acqua e luoghi di morte. Scale conducono giù verso cisterne che il vento ha prosciugato, verso casette a protezione dei pozzi, sormontate da pietra a volta e scavate nel tufo morbido, verso gocce di sangue che generavano fontane”(da Quel che ho visto e udito a Roma. Prefazione di Giorgio Agamben, Quodlibet 2002).
Ma anche sopra, alla luce del sole, ti ricordi delle periferie solo quando esplode Tor Sapienza. Dopo le borgate e le baracche, cancellate da Luigi Petroselli “il sindaco di Roma morto sul lavoro come un edile”, hai un caos di Torre Spaccata, Tore Maura, Torre Angela, Torbella come la chiamano. Unica eccezione Tor Tre Teste che tieni a mente per via della chiesa di Meier.
Scomparsi i luoghi di Pier Paolo Pasolini. Ora al Pigneto trovi la movida; al Mandrione gli studi della Transavanguardia. I tetti di lamiera però li vedi ancora sopra i piccoli cortili di Villa Certosa nascosti dietro i casermoni della Casilina.
Roma della “Grande bellezza” e quella plumbea, senza misericordia, con la sua “rete catacombale” e di complicità (descritta da Stefano Brusadelli nei Santi pericolosi, Mondadori 2013). Il Mondo di Mezzo, guidato da un tandem (Buzzi-Carminati) ci si è trovato bene a tirare i fili tra assessori, politici, imprenditori, spezzapollici e disperati.
Capirete: assicurava la costruzione di “reti di relazioni sociali” incontrandosi dal benzinaio di Corso Francia, ormai topos per pellegrinaggi più del Divino Amore. “Smessaggiavano a questo e quello”. Sognavano “il botto” da decine di milioni. Si appiccicavano “come un polipo che sta attaccato qua”.
Di tutto questo non era a conoscenza l’attuale “primo cittadino”. Il marziano a Roma prima osteggiato dal Pd che pure l’aveva eletto, adesso ringraziato perché ha tolto i tavolini a Campo de’ Fiori, chiuso Malagrotta, decapitato i vertici Ama, ridotto la quantità di banchi a piazza Navona che dovrebbero vendere unicamente prodotti tradizionali. E altri simili miracoli.
Ignazio Marino, eroe per caso. Anche se dovrà vedersela con gli Stati Uniti che pure loro vogliono ospitare l’evento sportivo, ha annunciato di sentirsi pronto a cavalcare l’idea delle Olimpiadi per il 2024..
Intanto, ogni giorno continuano a piovere intercettazioni dal Mondo di Mezzo. Guardando la vicenda, meraviglia che le connessione tra mondo reale e mondo della fiction, tra vero e finto, siano saltate. Siamo di fronte a una città “gomorrizzata”. Ma è la stampa, bellezza. Forse ci crede pure il procuratore della Repubblica, Pignatone.
Naturalmente, se vi domandate dove e come sia cominciato tutto, raccoglierete le opinioni più diverse: cambiamento del Titolo V della Costituzione che aprì le dighe sull’autonomia delle regioni oppure abolizione delle preferenze; guasti provocati dalle primarie fino al fund raising con cene (esose) annesse. Nonché i guasti provocati dal troppo o troppo poco Stato; dalle regole obsolete, dalle procedure inadeguate. Andrea Colombo (sul Manifesto del 9 dicembre) ha spiegato che “le cooperative sociali prendono gli appalti per assegnazione diretta e non per gara, altrimenti con i privati non ci sarebbe partita”.
La storia non si chiude qua. Intanto, avrete notato che di donne sul palcoscenico illuminato ne compaiono pochissime. Con l’eccezione di una parlamentare nella segreteria Pd e il bacio spedito “al grande capo” Buzzi. Chissà perché le donne che “sono ovunque” (titolo dell’ultimo numero di Via Dogana che chiude dopo 25 anni), proprio nel Mondo di Mezzo, le donne, non ci sono.