Quanto conta ancora, politicamente, Silvio Berlusconi? Molti critici di Renzi accusano il premier per aver rilegittimato il Cavaliere – già condannato definitivamente per frode fiscale e espulso dal Parlamento – con il “patto del Nazareno”. In realtà il leader affaticato della resuscitata Forza Italia e il suo stesso partito non se la passano troppo bene: il giovamento tratto dal rapporto con Renzi non sembra poi così efficace. Ma la polemica si spinge molto più in là: sull’ultimo numero di Micromega Paolo Flores D’Arcais scrive che “Renzi costituisce la realizzazione del berlusconismo con altri mezzi”. E per lo storico Angelo D’Orsi il renzismo è “la fase suprema del berlusconismo”. Ne è una variante addirittura “nella sostanza politica peggiorativa”.
Berlusconi quindi in vario modo sopravvive, anche come categoria di interpretazione della realtà politica, almeno per una parte della sinistra.
Le analisi di Flores e D’Orsi, che non approfondisco qui, non mi convincono, e tanto più opportuna mi è sembrata la radicale fenomenologia che del berlusconismo ci ha dato Ida Dominijanni con il suo ultimo libro Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi (Ediesse 2014).
Il titolo e il sottotitolo sono già indicativi di un taglio diverso: si parla della fine di Berlusconi, e si annuncia una lettura della sua parabola che ne svela la verità mettendo al centro la scena dei rapporti sessuali rappresentata dal Cavaliere, alla luce di una critica della politica e dell’assetto sociale contemporaneo che ha un referente fondamentale nell’idea di biopolitica sviluppata da Foucault. Quando nei corsi al College de France alla vigilia degli anni ’80 aveva analizzato il neoliberalismo non come una riedizione del classico laissez faire , ma come una nuova “maniera di essere e di pensare”, fondata sul concetto di “capitale umano”: ognuno è illusoriamente libero di essere imprenditore di se stesso. E questa idea truccata di libertà si allarga a comprendere non solo il mercato, ma anche i corpi, i desideri, l’immaginario, il simbolico.
Ma il punto di vista di Dominijanni naturalmente arricchisce e reindirizza l’impianto foucaultiano con le analisi e le elaborazioni del femminismo (e i suoi scambi col più significativo pensiero contemporaneo, da Lacan a Derrida, Zizek, Butler e tanti e tante altre), e in particolare del femminismo della differenza italiano, secondo il quale viviamo nell’epoca in cui le donne hanno tolto il loro credito al patriarcato, annunciandone la fine.
In questo contesto la vicenda di Berlusconi non è più uno stravagante eccesso provinciale italiota, ma un sintomo assai significativo delle dinamiche profonde e diffuse di un mondo definito dall’intreccio tra la forza della ragione neoliberale e la debolezza di un post-patriarcato che ha smarrito l’autorità della legge paterna.
Il libro rimprovera severamente, e per me fondatamente, la sinistra italiana per non aver saputo comprendere il vero significato del berlusconismo proprio perché impermeabile al discorso del femminismo della differenza e ai suoi strumenti culturali e analitici. Priva di questi attrezzi la sinistra non vede la forza della libertà femminile e non vede la gravità di una “questione maschile” che si traduce in una sempre più forte perdita di autorità della politica, di cui gli intrecci tra sesso, potere e denaro, sono una spia evidente.
Ida rilancia e argomenta una tesi da lei immediatamente sostenuta all’epoca dei fatti: nell’epoca del dominio dei media e delle immagini, incarnata proprio dal Cavaliere, è stata la parola femminile a svelare il trucco della falsa immagine di potenza dell’uomo che sembrava all’apice della sua forza e della legittimazione (dopo gli show sulla scena del terremoto dell’Aquila e il discorso del 25 aprile 2009 ai partigiani, con fazzoletto tricolore al collo).
A squarciare il velo – a produrre la “parresia” – sono una intellettuale (Sofia Ventura) la moglie (Veronica Lario) e una prostituta (Patrizia D’Addario), tre figure “cardinali per la tenuta del regime di verità maschile e delle complicità mute di cui necessita”. Le parole più incisive sono quelle della moglie: il “ciarpame senza pudore” di un uomo che candida in Parlamento le ragazze che convoca alle sue feste notturne, che frequenta minorenni, che avrebbe bisogno di cure. E’ la regina a svelare il corpo nudo del re.
Dominijanni scrisse allora sul manifesto che queste parole decretavano la fine di Berlusconi. Un giudizio sostanzialmente giusto, anche se la parabola è stata lunga e complessa. Se gli effetti della libertà femminile possono per l’autrice manifestarsi del tutto imprevedibilmente, e persino inconsapevolmente, nella ribellione di queste tre figure femminili, contro questo gesto si scatena una reazione negatrice selvaggia da parte dei sostenitori del Cavaliere, ma anche la sinistra politica preferisce non guardare lo “scandalo”, tenuto aperto invece dai giornali dell’opposizione. Emblematica la frase del segretario del Pd Franceschini, che evoca il pilatesco motto “tra moglie e marito non mettere il dito”.
Sarà la crisi finanziaria in Europa, e il rischio che un’Italia allo sbando comprometta la sopravvivenza dell’Euro, a fare aumentare la pressione politica internazionale contro l’uomo delle “cene eleganti” con Ruby Rubacuori, riconosciuta da una maggioranza parlamentare quale nipote di Mubarak.
Dominijanni legge qui una sostanziale continuità tra il regime del godimento e del consumo impersonato da Papi (un padre osceno che sostituisce il Nome del Padre di lacaniana memoria, lacanianamente “evaporato”) e quello della colpa dell’uomo – e del paese – indebitato che si afferma con le austere figure di Mario Monti e Elsa Fornero ( mi viene in mente che forse anche alle sue lacrime potrebbe essere attribuito un valore “parresiastico” sul vero segno delle “riforme” di quel governo). Sono diverse declinazioni della “governamentalità neoliberale”, dove la pulsione al godimento senza legge e senza desiderio e il complesso di colpa per il dispendio eccessivo sono due facce della stessa moneta. Anche l’ascesa di Renzi avviene nello stesso scenario: il suo governo paritario, le nomine femminili e le capoliste alle europee sono un “uso della cooptazione femminile che ricorda molto quello berlusconiano, ma “decorosamente” de-sessualizzato”. Vie maschili diverse ma accomunate nell’obiettivo-effetto di depotenziare il valore sovversivo della rivoluzione femminile, che tuttavia non può essere totalmente negata.
In conclusione, Berlusconi è finito, ma essendo stata rimossa la sua verità disvelata e radicata nella sfera della sessualità, egli si aggira ancora tra noi in forma spettrale,mentre la sua eredità “è viva e vegeta”, e si riflette – anche per Dominijanni, sia pure sulla base di una analisi ben più acuta e ferrata – nel modello di leadership populista di Renzi.
In questi passaggi ho avvertito il rischio di un uso forse troppo pervasivo, ideologico, della categoria del neoliberalismo, che non mi pare sufficiente a spiegare tutte le dinamiche politiche, economiche, culturali e globali che si intrecciano con la vicenda politica italiana e la determinano da Berlusconi a Renzi.
Ma il punto che mi interessa di più è un altro. Ida rileva con ampiezza come intorno alla vicenda del Cavaliere, oltre al ruolo della destra che difende e esalta il capo (capitanato con sfrontata intelligenza da Giuliano Ferrara e dal Foglio), oltre alla sordità e cecità della sinistra, oltre allo sguardo acuto di una parte del femminismo italiano (in polemica con le riduzioni moralistiche di altre culture femministe), si sia verificato anche un prendere per la prima volta la parola da parte di un certo numero di uomini più consapevoli del significato post-patriarcale – per riassumere – del comportamento e della messa in scena berlusconiana. Una serie di voci maschili, critiche del virilismo posticcio del premier, e consapevoli della propria differenza, improvvisamente emerse – sulle pagine del manifesto ma anche di altri quotidiani e in un buon numero di blog e siti web (tra i quali il sito di maschileplurale e anche questo) – ma anche altrettanto rapidamente scomparse dal discorso pubblico successivo.
La ricca analisi del libro è messa al servizio del rilancio di una politica capace di “un’altra pratica della soggettività contro l’individualismo narcisista”, della “libertà politica contro la libertà di mercato”. Un punto di vista capace di riconsiderare e forse reinventare quell’incontro mancato dopo il ’68 tra la critica contro l’autoritarismo delle origini del movimento e il portato radicale del femminismo (una divaricazione forse non per caso seguita dalla tragica deriva di ottusa violenza terrorista).
Non si tratterebbe più, oggi, di un fatto “generazionale” ma “generativo” a partire dalla “differenza femminile, e forse finalmente di quella maschile”.
Sono le ultime parole del testo. Che per me chiamano all’apertura di un altro discorso: perché non siamo ancora riusciti e riuscite a rendere più forte e stabile la ricerca e la pratica di relazioni politiche tra donne e uomini sostenute dal desiderio di questo differente incontro?
I tentativi non sono mancati. Ma che cos’è che fa ancora ostacolo?
Da leggere:
Ida Dominijanni.Il trucco. Sessualità e biopolitica nella fine di Berlusconi, Ediesse 2014,pagg 251, euro 14.
Il libro sarà presentato giovedì 18 dicembre alle 17,30 alla Fondazione Basso a Roma, via della Dogana Vecchia 5. Con l’autrice ne parlano Laura Bazzigalupo, Maria Luisa Boccia e Mario Tronti