Pubblicato sul manifesto il 28 ottobre 2014 –
Un caro vecchio amico e compagno (quel pirata di Stefano Bocconetti) mi ha provocato via twitter sabato: quando arriva il tuo pezzo che ci spiega come Leopolda e San Giovanni in fondo non sono contrapposte?
Un modo per proseguire la critica – aperta da qualche decennio – al mio (supposto!) moderatismo, troppo incline a trovare comunque mediazioni, per lo più al ribasso se non di fatto insostenibili…
Accetto la provocazione, ma non per sostenere che non ci sia stata contrapposizione tra Renzi a Firenze e Landini e Camusso in piazza a Roma. La contrapposizione è evidente, e secondo molte analisi prelude a una scissione, alla nascita – evocata dallo stesso Renzi – di qualche nuovo esperimento politico alla sinistra del Pd, di cui molto si discute anche sul manifesto.
La modesta proposta che avanzo è che la contrapposizione non produca un obnubilamento nei giudizi.
Parto, ovviamente, dalla parola gettone. Sarebbe un francesismo che può derivare da jet, getto o tiro dei dadi che evoca il gioco d’azzardo. Oppure jeter, nel senso di fondere, essendo il gettone una specie di moneta metallica.
La metafora di Renzi – difendere l’articolo 18 è come pretendere di mettere un gettone nell’i phone – è una boutade, una battuta che è anche un azzardo e che rischia di battere una moneta falsa. Debora Serracchiani ha cercato di rivendicare anche alla Leopolda il concetto di dignità del lavoro affermato a San Giovanni. Renzi però non ne ha parlato: ha insistito sul fatto che il disoccupato, che certo vive un trauma profondo, deve essere “preso in cura” dallo Stato, che gli garantirà un reddito minimo, formazione, e offerte di lavoro.
La falsità di questa moneta, di questo scambio sul terreno dei diritti, non sta solo nel fatto che non si capisce dove si troverebbero oggi le risorse per assicurare davvero queste garanzie, ma nel ritorno a un’idea di stato-protettore, capace di sedare ogni forma di conflitto sociale, in cui soggettività, autonomia e libertà dei cittadini-lavoratori si offuscano in secondo piano.
D’altra parte la protesta difensiva a San Giovanni sembra continuare a ignorare che se si perde – e si perde da alcuni decenni ormai – sul terreno dei diritti, è perché anche la sinistra che dice di stare dalla parte del lavoro non sa più parlare alle nuove soggettività. Non sa offrire un progetto credibile e inventare forme della politica capaci di tradursi in protagonismo, linguaggi simbolicamente rilevanti e battaglie vincenti.
Sarebbe però ingeneroso ridurre il discorso di Renzi alla provocazione del gettone. E’ partito, come si usava una volta dalle parti del Pci, dalla situazione internazionale, e io penso che non sia stato sbagliato puntare a un ruolo in Europa più forte nella politica estera. Poi si vedrà se Mogherini concluderà qualcosa di meglio di chi l’ha preceduta.
Non mi convince affatto – per essere più chiaro – contrapporsi a Renzi equiparandolo alla Thatcher, a Berlusconi, e comunque a una specie di nuova destra. La sua politica è un tentativo di riedizione più o meno aggiornata – e peraltro dichiarata – del blairismo e del clintonismo. Un’idea di partito interclassista che guarda al centro ma non dimentica completamente certe ispirazioni – in questo caso soprattutto di matrice cattolica – della sinistra (vedi le citazioni di La Pira e il riferimento al terzo settore e al volontariato).
Landini – da sindacalista e forse da politico in pectore – mi sembra più accorto: evoca il conflitto più duro (occuperemo le fabbriche!) ma non rinuncia a interloquire con le possibili aperture dell’agenda del Pd renziano.