“Un sì è un sì e un no è un no”. Così credevano le donne scommettendo su un Sì o un No per contenere la violenza maschile. Se io non voglio, tu ascolterai e rispetterai la mia parola.
Quell’avverbio, nella sua brevità, avrebbe fatto chiarezza sulla libertà, sulla inviolabilità del corpo femminile. Devi ascoltare il mio desiderio che non necessariamente si piega al tuo. ”Tu mi fai girar come fossi una bambola” appartiene al tempo di Patty Pravo.
Chiaro che io non sono un oggetto. Sono una donna. Con i suoi desideri e la sua libertà. E se la libertà consistesse nel “fare come gli uomini”?
La scommessa del “Sì” e del “No” rischia una certa povertà. Non è sicuro che apra conflitti per mettere un argine alla sessualità maschile; alle sue commistioni con il potere; con il possesso. Può funzionare se i rapporti tra maschi e femmine sono visti come una linea retta nella quale il “Sì” e il “No” sono sufficienti a garantire giustizia alle donne convincendo/costringendo il cosiddetto sesso forte a autogovernarsi.
Ma per imboccare questa linea retta, bisogna escludere le ambiguità, incertezze, ripensamenti disseminate sulla strada del rapporto tra i sessi. L’altalena del “Vorrei e non vorrei”, cantata dalla dolce, intelligente Zerlina non suscita più simpatia. Al giorno d’oggi sono io che decido. Quando (e se) lui non mi ascolta, la speranza di fare ordine nel rapporto tra i sessi, viene affidata alla legge, ai giudici, ai testimoni.
Le femministe (almeno, una parte) si fanno poche illusioni in materia. Occorrerà del tempo, un lavoro politico e culturale; una operazione – qualcosa come la lunga marcia – che riguarda (e coinvolge) soprattutto il sesso maschile.
Julian Assange, poco amato dai servizi segreti di mezzo mondo in quanto fondatore di Wikileaks, viene denunciato in Svezia dalle signorine “A” e “W” che hanno avuto un rapporto con lui finito male.
“A” e “W” sono amiche. Si confidano. Erano sì consenzienti ma poi, per via della rottura del preservativo e dell’eccesso di alcool ingurgitato, gli incontri hanno preso una piega tutta diversa. Stupro, molestie? Discussioni senza fine dal momento che il consenso può trasformarsi in un rifiuto nel giro di una notte. Magari di un’ora o di un minuto.
Adesso sul “Vuoi o non vuoi?” entra in vigore nelle università della California una legge soprannominata del “Sì è Sì”. Nelle università sono aumentati in modo vertiginoso gli stupri. Peraltro, le ragazze si trovano faccia a faccia con il loro violentatore che continua a frequentare i corsi. La violenza cresce per via della promiscuità, dalle feste ad alto tasso etilico ma, soprattutto, dai pregiudizi machisti che non sono affatto scomparsi.
Finora nei campus le autorità si sono limitate a archiviare le denunce perché le vittime conoscono il loro carnefice e il carnefice si difende obiettando che la studentessa era consenziente, che già si frequentavano, che lei ci stava, che glielo aveva lasciato capire.
La legge californiana ha rovesciato l’onere della prova: l’aggressore sarà spinto a dotarsi di un accordo “affermativo, volontario e cosciente” della partner. Potrebbe bastare anche un cenno del capo. E comunque, l’assenza di protesta o rifiuto o resistenza non significa consenso. E neppure significa consenso se la partner resta in silenzio. Taccio ma questo, caro giovanotto, caro adolescente brufoloso, non equivale a un Sì.
Quanto alle università, dovranno aderire alla norma del “consenso affermativo” pena la perdita dei fondi pubblici di cui finora beneficiano. Può darsi che funzioni ma la “casistica” basterà a combattere chi finge di non vedere la violenza? E ancora: quando finirà questa storia di minimizzare o di mettere in discussione la parola femminile?