Come giocano le mutazioni della famiglia contemporanea quando incontrano la genetica?
Abbiamo letto in questi giorni la vicenda dei gemelli nati dall’utero in affitto di una ragazza thailandese. Una gemella è sana; l’altro affetto da sindrome di Down. La coppia australiana – scrive Le Monde – ha pagato l’equivalente di undicimila euro alla donna, portandosi via solo la gemella sana. Una mostruosità.
Senza andare tanto lontano, all’ospedale Pertini di Roma lo scambio di embrioni ha aperto ferite terribili. “Ce li dovranno restituire” è la protesta dei genitori biologici dei gemelli che stanno crescendo nella pancia di un’altra donna. Ancora: “La felicità che spettava a noi è toccata ad altri”. Replica della coppia che ha ricevuto gli embrioni non suoi: “Sono nostri figli, li alleveremo noi e non abbiamo intenzione di dividerli con nessuno”.
Oggi lo scenario della nascita si è complicato anche perché i soggetti della fecondazione assistita esprimono nuove domande. Intanto, ci sono i figli che vogliono sapere. Attraverso il test del DNA.
D’altronde, i media hanno scavato crudelmente e freneticamente nelle pieghe del privato (di cinquanta anni fa) di Ester Arzuffi, madre dell’indiziato per l’omicidio di Jara Gambirasio. Non si è trattato esclusivamente di voyeurismo ma addirittura di divinizzazione del DNA.
Comunque, il nato dalla fecondazione assistita desidera incontrare l’essere umano (uomo o donna) che gli ha trasmesso la vita. “Guardami. Sono qui grazie a te”. Non cerco un nuovo padre o una nuova madre. Mi interessa alzare il sipario sulla parte nascosta della storia; inseguire la verità biologica sul mio concepimento e su un più ampio reticolato affettivo di fratelli e sorelle; rivendicare un “diritto all’identità” fino a ieri sconosciuto.
Fino a ieri sul donatore vigeva la regola del silenzio. “L’anonimato – ha spiegato la filosofa Sylviane Agacinski – rispondeva alla domanda espressa dalle coppie beneficiarie del dono che speravano di dimenticarne il valore costruendo una finzione di procreazione coniugale”. L’uomo, la donna magicamente ridotti a un’ombra: l’ombra del padre; l’ombra della madre.
Una volta, nella nostra società i legami di sangue erano sacralizzati. Poi sono arrivati i donatori, le donatrici: evidente la differenza non solo di percorso ma nei sentimenti che scattano nell’uno, nell’altra. Adesso, in Svezia e poi in Svizzera, Austria, Islanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Gran Bretagna, l’anonimato è stato tolto.
Non avranno diritti/doveri nei confronti del nato. Giusto. Ma che ne sarà dell’altruismo, della generosità insita in quel gesto? E poi, con la possibilità di diventare carne e sangue, di avere una biografia, il donatore non rischia di trasformarsi nel rivale della coppia? Bisogna sforzarsi di accettare le metamorfosi della famiglia. Adozione; omoparentalità: Sì, I ragazzi stanno bene, con due madri (Annette Benning e Julianne Moore) o con due padri. Succede nei film.
Qui da noi, però, il modello di riferimento continua a mimare la famiglia tradizionale, a proporre i “veri” genitori – un padre, una madre: niente di più, niente di meno.
In Italia c’è traccia della discussione nella sentenza della Corte costituzionale, e nelle Linee-guida del Consiglio dei ministri per regolamentare la fecondazione eterologa, ma nessuna legge potrà di per sé impedire o regolamentare la complessità dei nuovi sentimenti.
Se si moltiplicano le forme di maternità e paternità, e quindi cambia la condizione dei figli, se il desiderio di riprodursi si spinge – grazie alla scienza e alla tecnica – oltre i limiti della natura sin qui vissuta, non bisognerà riconoscere le nuove relazioni che inevitabilmente si creano? Oppure le lasciamo in balia del mercato? E di una libertà che si aggrappa al Faccio come mi pare?