Pubblicato sul manifesto il 5 luglio 2014 –
Abbiamo un giovane premier che si propone di cambiare verso a moltissime cose. Anche all’Italia e all’Europa. Un vaste programme, su molti punti del quale si può anche convenire, al di là dei possibili dissensi di merito e di metodo.
Nei giorni scorsi mi è capitato di pensare intensamente al significato di una parola in qualche modo collegata alla questione del verso. La conversazione.
Mi è venuta in mente quando ho appreso, con dolore, della scomparsa di un vecchio amico, compagno, collega, il giornalista dell’Unità Fausto Ibba. Che se ne è andato proprio nel giorno in cui il suo, e nostro giornale ha chiuso per la seconda volta.
Ne hanno già scritto in modo toccante altri amici e colleghi: Pasquale Cascella, Marco Sappino, Piero Sansonetti. Di Fausto voglio ricordare qui la straordinaria attitudine alla conversazione. Nelle stanze della vecchia Unità era ancora possibile trovare il tempo, nonostante l’incombere degli orari di chiusura, per conversare. E Fausto era con conversatore instancabile. Afferrava un argomento e lo analizzava in tutti i suoi aspetti: la storia, il linguaggio, le posizioni politiche sostenute da questo e da quello. Voleva convincerti delle sue opinioni, ma interpellava insistentemente le tue. C’era un vero piacere dello scambio. Anche se molto spesso a prevalere erano le sue tesi.
Sansonetti, con il suo solito gusto dell’iperbole, ha scritto che Fausto – uno che scriveva poco e firmava ancor meno – è stato il migliore giornalista italiano del dopoguerra. Certo da lui si imparava che a ogni riga che si scrive dovrebbe corrispondere la conoscenza più approfondita di tutte le fonti, di tutti i materiali che a quella riga possono essere riferiti. Una grande lezione nell’era dell’informazione in tempo reale.
Mi è anche tornata in mente la sentenza di Guy Debord nei suoi Commentarii alla società dello spettacolo (1988): “..la conversazione è morta e ben presto lo saranno anche molti che sapevano parlare”. Per Debord il prevalere assoluto delle immagini e dei software informatici sulla parola scritta e stampata stavano uccidendo la possibilità di leggere, meditare, conversare, formarsi opinioni critiche.
In realtà il più recente sviluppo – proprio grazie all’informatica – dei social media potrebbe aprire nuove occasioni per la scrittura e lo scambio, in rete e non solo? Forse servono nuove metodologie – una sorta di moderno galateo – per evitare che le interlocuzioni a distanza, in assenza dei corpi e della comunicazione non verbale che avviene quando si conversa, degenerino nella rissa. Quando si conversa, vocabolario alla mano, ci si intrattiene insieme ad altri. Il latino vertere vuol dire volgersi, girare, quindi cambiare verso, ma anche stare, trovarsi.
Ho partecipato a Genova a un incontro per i 90 anni dell’Unità. C’era Aldo Tortorella, direttore quando, nel lontanissimo ’73, cominciai a lavorare nella redazione genovese. E il sindaco Marco Doria aveva chiuso l’ intervento con una domanda restata senza risposta. L’invenzione di un grande quotidiano politico e popolare, con redazioni nelle principali città e varie edizioni nazionali, corrispondenti in tutto il mondo, era stata per il Pci una operazione all’altezza del contesto culturale e tecnologico di quel tempo. Quale ne potrebbe essere l’equivalente per la sinistra di oggi?
Non pretendo di rispondere. Ma un’idea sarebbe reinventare le condizioni di una conversazione quale base della comunicazione e dell’informazione. Del piacere e della capacità di conversare sfruttando ogni tecnologia, senza rimuovere i nostri corpi e riprendendosi il tempo necessario.