Eroine-danzatrici, indomite guerriere che all’occasione giusta sanno rientrare nei panni della damigella in cerca del giusto cavaliere. Madri malate e fratelli da accudire, malavitosi e dottori buoni: insomma ci sono tutti gli ingredienti del feuilleton vecchia maniera nel nuovo cinema pakistano, figlio del più navigato fratello-coltello indiano. Solo che le protagoniste in questione sono donne e transgender en travesti, da sempre come in India votate al mestiere della danza.
Dunya è uscito da poco nelle sale del Punjab e io sono andata a vederlo con una compagnia quantomeno originale: una attivista inglese di una ong locale, una ricercatrice universitaria pakistana che da decenni vive in Canada e due giovani transgender. Solo il cinema Capital di Lahore valeva la spesa del biglietto: sporco e gigantesco, con pale di ventilatori arruginiti avvolte nella carta di giornale (non so perché), e non più di dieci spettatori oltre noi, avrebbe fatto la gioia di Pier Paolo Pasolini. Noi abbiamo scelto una specie di palco alla maniera dei teatri riservati alle famiglie: già, perché qui gli spazi pubblici sono rigidamente separati in maschili e femminili, dunque le trans dove si seggono?
In un paese in cui è vietato fare sesso prima del matrimonio, la prostituzione brulica e le trans sono più economiche delle prostitute. Non sono un movimento compatto nel paese, ma da anni fanno sentire la propria voce nelle città più grandi (Islamabad, Lahore, Karachi, Peshawar): la percentuale affetta da HIV è elevata (una media del 10%, se si includono le punte del 27% nelle grandi città), violenza e maltrattamenti fanno parte del lavoro, anche se in città come Lahore il movimento è forte e gay e trans lavorano con le ong per l’assistenza sanitaria e la distrbuzione notturna di preservativi e detergenti. Alcune si sono candidate alle elezioni delle scorso anno attirando notevolmente l’attenzione dell’opinione pubblica. Il tasso di analfabetismo è altissimo: quasi nessuna di loro riceve una educazione di base, solo l’urdu e il dialetto locale che servono per vivere. Di questo mondo pakistano l’occidente, pur sempre affetto da “orientalismo”, non sa nulla, tranne poche eccezioni, tra cui il video Looking for flowers in Islamabad, ideato e voluto da Simona Seravesi, che ha vissuto per due anni in Pakistan lavorando per L’Organizzazione Mondiale della Sanità; il video sta già girando per l’Italia ed è già stato presentato a Dubai (chi fosse interessato alla sua distribuzione può scrivere a [email protected]).
In Dunya tuttoquesto non si vede: si racconta piuttosto la storia di come un uomo per sbarcare il lunario si traveste da donna e entra a fare pare della comunità che diventa la sua vera famiglia, tra numerose vicissitudini e coreografie campestri. La danza è la principale attività delle transgender insieme al sex working: si esibiscono ai matrimoni e alle cerimonie e sono molto richieste. Quasi sempre si tratta di ragazzini buttati fuori di casa dalle famiglie e accolti dai guru, capi che li prendono in casa e provvedono all’educazione, al cibo e le avviano alla danza e alla prostituzione. Il film, che riflette l’immagine che le e i pakistani hanno delle khawaya sara, le mostra come dei “travestiti per necessità”, che pure si ritrovano in clan, ma senza alcun accenno alla componente sessuale. E soprattutto pronti a mostrare la loro parte maschile quando si tratta di fare a botte. Facendo contenti tutti e mettendo l’inconscio a tacere.
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