Pubblicato sul manifesto il 18 febbraio 2014 –
Giuseppe De Rita invitava dalle colonne del Corsera di domenica i leader politici – tutti concentrati sulla “governabilità”– a “tornare nelle piazze” e nella società, a cercare e incontrare, conoscere il consenso che dovrebbe motivarli.
Per i presidente del Censis non c’è buona democrazia senza legami con i corpi intermedi della società. Ma la “fine della rappresentanza” descritta nel suo ultimo libro ( Il popolo e gli dei, scritto con Antonio Galdo per Laterza e recensito su questo giornale da Benedetto Vecchi) è anche fatta dalla crisi dei soggetti che dovrebbero dare voce alla complessità del corpo sociale. Il presidente di Confindustria fa il politico e sfiducia anche lui Enrico Letta, e la Cgil mette in scena un acuto contrasto interno, sino agli spintoni e gli insulti. Sintomi speculari di gravi difficoltà. Intanto per oggi si annuncia a Roma una “marcia dei 40 mila” tra artigiani, commercianti, piccoli industriali, organizzati non dai “forconi” ma da Rete Imprese (riunisce le associazioni di settore) con la benedizione proprio del Censis.
La debolezza dei corpi intermedi viene ricondotta in queste analisi alla polarizzazione sempre più acuta tra “gli dei” inarrivabili del capitalismo finanziario globale, e un popolo privato di ogni forma di sovranità. Questa dicotomia, pur del tutto fondata, ostacola l’esigenza di guardare criticamente in più direzioni. La prima è quella – vista da De Rita quasi solo attraverso la realtà delle famiglie – dei cittadini che cercano nuovi modi di vivere, di consumare, di produrre, attuando concretamente prima che ideologicamente una critica dei modelli del liberismo iperconsumista.
Una seconda direzione per lo sguardo è quella delle grandi multinazionali manifatturiere ad alta tecnologia. Non tutto è finanza al vertice del capitale. Chi dirige queste realtà (potenti come singoli stati) guarda al mondo dei prossimi 50 anni, non ai 10 secondi della prossima transazione speculativa, progetta nuovi sistemi energetici, nuove cure mediche, modi diversi di organizzare le metropoli. Esistono poi le realtà della scienza e della ricerca, della produzione culturale e artistica, territori globali frequentati da giovani cosmopoliti, di cui si parla molto poco.
Un dato generalmente rimosso, parlando dell’opacità sociale e delle colpe della politica, è il ruolo negativo dell’informazione giornalistica. Tranne rare eccezioni in Italia lo sguardo dei media è incollato al ceto politico, in un cortocircuito che produce cattivo spettacolo. E quasi nessuna vera apertura sulla vita reale di chi non è parte di questo gioco di specchi.