Pubblicato sul manifesto del 14 gennaio 2014–
Quando cambia la percezione sociale di fenomeni profondi appaiono neologismi – o parole vecchie che si caricano di nuovi significati – che dovrebbero aiutarci a comprendere, a reagire e agire meglio. Nel caso della violenza maschile contro le donne si discute sul termine femminicidio – sostenuto da molte donne, ma non proprio tutte, contestato da qualche uomo (ultimo Guido Ceronetti, che ha proposto di sostituirlo con ginecidio, alla greca. Forse desiderava semplicemente riconquistarsi un potere di nominazione perduto?).
Tra tante contraddizioni e ambiguità (a cominciare dal carattere emergenziale e repressivo delle recente legge), si comincia finalmente a vedere una verità semplice e incontestabile, ma da sempre rimossa: siamo noi uomini a agire la violenza, siamo noi il problema.
In Italia, molti anni più tardi rispetto alle esperienze nel Nord Europa e nei paesi anglosassoni, si affacciano anche iniziative rivolte specificamente agli uomini per prevenire la violenza. Ecco affermarsi un’altra parola: maltrattanti. Lavorare con i maltrattanti per scongiurare i femminicidi, per riconoscere e combattere la violenza maschile. Guardandola in faccia.
Ne parla e ne discute in modo assai ricco un libro recente: Il lato oscuro degli uomini, a cura di tre donne, Alessandra Bozzoli, Maria Merelli e Maria Grazia Ruggerini, pubblicato da Ediesse. Ma vi si leggono anche numerosi interventi maschili.
Il dibattito pubblico sulla violenza degli uomini contro le donne potrebbe essere una buona leva per affrontare in modo molto più largo la quantità pervasiva di violenza che attraversa le nostre società. Esiste ormai una ricca letteratura sulla contiguità tra violenza bellica e violenza sessuale maschile (dagli stupri etnici ai vari maltrattamenti nelle caserme, ora che anche le donne vi sono ammesse). Né mancano linguaggi violenti e comportamenti variamente maltrattanti sulla scena quotidiana della politica e dell’informazione. Non serve aguzzare lo sguardo per vedere che anche in questo caso i protagonisti principali sono quasi tutti uomini.
Non voglio fare di tutte le erbe un fascio. Ma credo non sia infondato chiedersi se il rapporto che noi maschi abbiamo con il nostro corpo, e con le pratiche di costruzione dell’autorità, del potere, della forza e della violenza, non determinino un continuum nelle culture individuali, familiari e collettive che producono e fino a oggi hanno legittimato i comportamenti violenti.
Non facciamo quindi degli interventi rivolti ai maltrattanti un argomento riservato agli “specialisti”, un modo per istituzionalizzare, patologizzare, e allontanare da tutti noi la figura – anzi, le tante figure – del maschio violento.