Sul tema della prostituzione e del desiderio maschile pubblichiamo un articolo di Lea Melandri scritto per la 27° Ora del Corriere della Sera. In coda uno scambio con Lea a proposito del mio articolo “Uomini storditi” – sempre a proposito della sessualità e dell’identità maschile – di cui la ringrazio. (A.L.)
Negli ultimi giorni il problema della prostituzione è tornato al centro dell’interesse pubblico: in Francia con la proposta di legge sul modello svedese che prevede per il cliente una multa di 1500 euro, in Italia per la vicenda delle due liceali che si prostituivano in lussuosi appartamenti romani. Gli interrogativi sono sempre gli stessi, così come la contrapposizione tra chi vorrebbe abolirla e chi vorrebbe fosse considerata un lavoro come gli altri. La novità, caso mai, è quella a cui è dedicato l’interessante studio di Giorgia Serughetti – Uomini che pagano le donne(edizioni Ediesse 2013)-, “la nascita di una questione relativa agli uomini clienti”, il bisogno di comprendere “i modelli di mascolinità nuovi o tradizionali che la alimentano”. Provo ad elencare alcune delle domande ricorrenti:
Uno scambio con Lea Melandri
caro Alberto,
ho letto con interesse il tuo articolo “Microcritiche. Uomini storditi”e volevo dirti che condivido le tue riflessioni su Lacan e sul seguito (non casuale) che ha tutt’ora. Sarebbe un lungo discorso capire perchè una parte del femminismo, che entrambi conosciamo, lo abbia preso come riferimento, sia pure capovolgendolo. Penso che nelle teorie più ‘misogine’ ci siano verità illuminanti della cultura che abbiamo ereditato, per cui dovremmo non evitarle ma leggerle attentamente, riconoscendo le radici profonde che quelle teorie hanno dentro di noi, quanto ancora determinino il nostro modo di pensare e di sentire.
Io rileggo a più riprese i testi che il femminismo rifiuta aprioristicamente (da Bachofen, Mantegazza, Michelet, Freud e Weininger, a cui Lacan è molto vicino) e li considero delle miniere preziose per capire di che pasta siamo fatti, uomini e donne, di quanto sia ancora lungo il cammino della ‘presa di coscienza’ per venire a capo di una differenziazione che parla il linguaggio e il sentire di un sesso solo.
Sono anni che penso a un libretto provocatorio –del tipo: “Ha ragione Weininger”. Ora mi sto avvicinando, anche se non lo chiamerò così, ma il senso è quello che ti dicevo.
Nella Prefazione a Sesso e carattere, edito da Feltrinelli nel 1978, Franco Rella fa interessanti osservazione sull’influenza che Weininger ha continuato a esercitare su Lacan e sul femminismo. Te ne consiglio la lettura, se già non lo conosci.
Lea
Cara Lea
davvero ti ringrazio molto dell’attenzione che mi rivolgi… sono sempre un po’ in dubbio a scrivere di cose che chiederebbero ben altra competenza “scientifica”! Mi fa quindi molto piacere che tu abbia trovato di qualche interesse il mio articolino. Il punto è che mi piacerebbe contribuire a una discussione sul “cul di sacco” in cui mi sembra infilato il pensiero maschile, anche quello più criticamente avvertito… Leggerò il testo che mi consigli. Se credi potrei ri-pubblicare su Dea il tuo articolo che mi segnali, e al limite quello che mi scrivi personalmente sul testo, al di là dell’apprezzamento che forse non è signorile da parte mia pubblicare proponi una riflessione di grande interesse non solo per me… Spero a presto
un abbraccio
alberto
caro Alberto,
quando Carla Lonzi scrisse “Sputiamo su Hegel” non capii la forza della sua provocazione, anche se venivo dal movimento non autoritario, dall’incontro con Elvio Fachinelli, il primo che mi aveva detto “scrivi della tua esperienza in una scuola media” senza preoccuparti di aver letto tanti libri di pedagogia. Venivo da un ottimo liceo di provincia, da una famiglia a cui la cultura era sconosciuta, e quei pensatori (filosofi, poeti, scienziati, profeti, ecc.), pur così lontani dalla mia condizione sociale , dalla mia appartenenza di sesso, li avevo sentiti ‘famigliari’ nel muovere riflessione, sentimenti, fantasie. Li ho riletti in seguito, dopo la “presa di coscienza” venuta dal femminismo, con uno sguardo critico, capace di misurare distanze, differenze, ma senza mai nascondermi ciò che nella loro visione del mondo continuava ad appassionarmi, fino a confondermi con quei frammenti dei loro scritti che continuavo a ricalcare (trascrivendoli a mano) più e più volte.
Da dove viene la ‘famigliarità’ con Otto Weininger, con la sua misoginia, il suo razzismo? La risposta la trovo scavando da anni (da sempre) in quella “mineralogia del pensiero” (una definizione che ho rubato ad Asor Rosa) che è il nostro vissuto più profondo, la “preistoria” che parla spesso a nostra insaputa attraverso le vite dei singoli e della civiltà.
Non so se questa può essere una indicazione anche per il pensiero maschile che si è fatto consapevole del suo essere sessuato. Di una cosa però sono certa: accelerare il processo di cambiamento non serve, se non si ha la forza di riattraversare ‘spudoratamente’ e senza pregiudizi ideologici la storia da cui veniamo.
Nessun problema se vuoi pubblicare il mio articolo e il nostro scambio di idee. Anzi, mi fa piacere.
A presto
Lea