Perché non udiamo più levarsi voci autorevoli di donna su quanto accade nel campo della sessualità? Perché quanto una volta competeva, per esperienza personale e storia politica, a tutte le donne sembra d’un tratto riguardare cinema, giornali, libri e (più raramente) talk show, e non la pelle – un tempo vibrante – di ognuna di noi? Perché siamo diventate – almeno così sembra – incapaci di scompigliare il discorso pubblico con la “carne” del nostro vissuto? Sarà perchè, ormai anziane e lontane dalle vive passioni della sessualità, non riusciamo più a trovare le parole per dirle queste passioni?
Io credo proprio di no. Penso invece che le ragioni siano altre. Penso che il problema non sia il fatto di non avere più parole: il problema è che non abbiamo più occhi. Non abbiamo più occhi per guardare noi stesse e le nostre amiche e – dunque – neanche figlie e nipoti. Ai tempi del nostro femminismo, si guardavano e ci guardavano donne di ogni età e condizione; anzi: età e condizione erano il frutto, non l’origine degli occhi di donna che cominciarono come per uno strano miracolo ad aprirsi sul mondo.
La sessualità – lo abbiamo imparato e insegnato noi – non è una zona separata (dai genitali, dall’età riproduttiva, dalle necessità della specie) dell’esistenza umana ma coincide con la sostanza stessa dell’essere umani: mortali, bisognosi dell’altro, fragili e scossi dalla meraviglia del nostro desiderio. Dunque la sessualità non è appannaggio di una età: è ciò che ad ogni età può, in qualsiasi momento, stordirci o rendere appuntiti come una freccia nell’arco.
Io non penso che sui nostri occhi sia calata la cataratta dell’età. Penso invece che ci scoraggi il tono flebile della nostra reciprocità. E’ perché abbiamo smesso di guardarci che non siamo più capaci di guardare e di farci guardare dalle altre donne: di tutte le età.