Pubblichiamo un articolo di Franca Fortunato apparso sul Quotidiano della Calabria.
Che in Egitto si sia consumato, con il sostegno della piazza, un colpo di Stato contro la “democrazia”, è indiscutibile. Il che dovrebbe fare riflettere quanti in nome della stessa “democrazia”, che un anno fa ha eletto presidente dell’Egitto Morsi, hanno trasformato gran parte del mondo in un teatro di guerra. Iraq, Afghanistan, Libia, a cui si aggiungerà ben presto Siria ed Egitto. Si, perché nessuno si illude che i cosiddetti Fratelli musulmani, gli stessi che in Siria stanno combattendo contro Assad e che gli Stati Uniti hanno deciso di armare, se ne staranno da parte. In Egitto c’è già una guerra civile, dove il popolo è diviso in due schieramenti, l’un contro l’altro armato. Con questo non voglio dire che il governo Morsi – come ogni governo fondamentalista, autoritario e sessista – non andava abbattuto, ma vorrei che qualcuno rispondesse a queste semplici domande. Come è stato possibile che dalla cosiddetta “primavera araba” è venuto fuori uno come Morsi? Come mai alle elezioni gli islamici fondamentalisti hanno ottenuto la maggioranza dei voti? Davvero i Fratelli musulmani sono la maggioranza del popolo egiziano? In democrazia i presidenti si cacciano con il voto o con i colpi di Stato? Oggi, il Cairo, Alessandria e altre città dell’Egitto sono diventate teatro di scontro tra musulmani e laici, tra sostenitori di Morsi ed esercito, garante della parte avversa. Ma come si può pensare di risolvere così le questioni che hanno a che fare con la costruzione di una civile convivenza? Mi hanno molto colpita le manifestazioni di gioia in piazza Tahrir alla notizia del colpo di Stato. Se capisco la gioia per essersi liberati di un fondamentalista, non comprendo però la fiducia nei militari e nei loro metodi. La situazione di guerra civile, che si è creata in Egitto, mi fa pensare – con i dovuti distinguo – alla città di Alessandria tra il IV e il V secolo d.C. Anche allora la città venne scossa da violenti conflitti tra una parte e l’altra della popolazione. Si trattava di conflitti religiosi tra pagani e cristiani. Oggi tra musulmani, cristiani e laici. Allora la città di Alessandria fu teatro di scontri e di violenze da entrambe le parti. Sembrava tutto perduto alla causa di una convivenza tra pagani e cristiani. Ma su tutti si erse l’opera di una donna, una scienziata, un’astronoma, una filosofa, Ipazia d’Alessandria che, tenutasi lontana dallo scontro e dalla piazza, si scelse un luogo autonomo, la cultura, da dove salvare la convivenza tra le parti avverse e tenere unito, così, il popolo egiziano. Il Museo di Alessandria, dove lei vi insegnò per venti anni, finiti gli scontri con la vittoria dei cristiani, divenne, grazie a lei, punto di riferimento della vera “primavera araba”. Il Museo e la sua scuola divennero il cuore culturale e civile non solo di Alessandria ma di tutto l’Egitto. Se allora non prevalsero l’odio e le divisioni, fu merito anche di questa donna che godette di grande autorità presso i governanti e la popolazione tutta. Le donne egiziane, oggi, imparino da questa loro antenata, abbandonino i militari e gli uomini che si fronteggiano nelle piazze. Che la libertà per cui dicono di combattere gli uomini in Egitto, come in altri Paesi, non sia la libertà delle donne è chiaro, non solo da quanto ha fatto contro le donne Morsi e il suo governo o Erdogan in Turchia, ma soprattutto dalle violenze, dagli stupri che accompagnano le manifestazioni di piazza. Su La Repubblica del 4 luglio scorso, la giornalista Eleonora Vio ha denunciato le centinaia di stupri in piazza Tahrir durante le ultime manifestazioni, di cui sono stati accusati i Fratelli musulmani. Nello stesso tempo, ha ricordato come “le violenze contro le donne in piazza sono iniziate nel 2011, durante il governo ad interim delle Forze Armate – le stesse del colpo di Stato – seguito alla caduta di Mubarak. Episodio simbolo furono quello, ripreso in un video, della manifestante velata trascinata a terra e denudata da un gruppo di agenti di polizia fino a rivelarne il reggiseno, come anche delle centinaia di “test di verginità” a cui le dimostranti furono forzatamente sottoposte negli stessi mesi. Solo una di loro, Samira Ibrahlm, è riuscita a portarli in tribunale”. Non c’è “primavera araba” senza libertà delle donne. Escano, perciò, dalla manifestazioni di piazza. Abbandonino gli uomini che siano i Fratelli musulmani o i militari. Non esultino né per gli uni né per gli altri. Facciano un lavoro autonomo di tessitura di rapporti tra donne e tra donne e uomini, che diano inizio ad una vera primavera araba. Sarebbe bello se tutte le donne si schivassero e lavorassero altrove per un Egitto, un Cairo, un’Alessandria dove venisse riconosciuta, come ai tempi di Ipazia, l’autorità femminile, capace di tessere relazioni di differenza con quanti vogliono davvero un Egitto, un mondo, libero per uomini e donne.