È una sventura, quella che è capitata a Vita Cosentino. Eppure, nel leggere il suo Tam Tam – dove alcune volte risuona questa parola cara a Simone Weil – sembra quasi il contrario. Se non proprio una fortuna, l’attacco improvviso della malattia invalidante che l’ha colpita senza che nessuno sia in grado tuttora di fare una diagnosi precisa, sembra l’occasione di una scoperta preziosa. Una scoperta che Vita fa nel vivere il suo malanno, e noi con lei, leggendo. La scoperta che anche nella sventura la vita è quello che è, che affetti, relazioni, sentimenti, dolcezze e dolori si possono sempre vivere con altre e altri.
Se lo si sa fare, se lo si cerca, se si accoglie l’aiuto, l’attenzione, l’amore che viene dagli altri. Senza pretese, senza porre ostacoli. Vita sa farlo. È quello che le dice il marito. Ha saputo starle vicino perché l’ha presa così, senza lamentarsi, senza abbattersi. È quello che le dicono le amiche, le persone che la incontrano nella sua malattia. Vorrei averle io tutte queste amiche che mi aiutano, le dice la fisioterapista.
Luisa Muraro, nell’introdurci in questo racconto, parla della vita “bella e crudele”, e usa il linguaggio epico del combattimento, perché questo è quello che conduce Vita: una battaglia millimetro su millimetro, per riconquistare autonomia, per continuare a tessere la sua vita. Ma non è così che ne scrive.
Vita Cosentino, nella Libreria delle Donne di Milano, in via Dogana, nel suo lavoro di ricerca intorno alla sua attività di insegnante, ha sempre analizzato con attenzione le parole. E con cura le sceglie. Semplici, dirette, senza fronzoli. Per dire della malattia che l’ha colpita, che l’ha messa di fronte alla morte. Del dolore su cui non mente, su cui non indugia. Dell’analisi che conduce per dire che quella che vive, che i sentimenti, le parole, gli incontri di due anni di malattia, sono vita. Noi leggiamo, con stupore meravigliato, pieno di gratitudine.
Vita Cosentino, Tam Tam, Nottetempo, Roma 2013, 104 pagine, 7 euro
pubblicato anche in www.societadelleletterate.it