“Donne, vita, politica: cosa cambia?” – Intervento di Letizia Paolozzi al convegno di Bologna (sabato 9 febbraio 2013) –
La campagna elettorale alla quale assistiamo è insensata. Un gran parlare di alleanze elettorali auspicate, promesse, vietate e niente sulle questioni vicine alla vita. Eppure, a Paestum è stato centrale il “Primum vivere”. Di qui il mio debolissimo interesse a votare.
Non solo. La campagna elettorale non risponde ai problemi di un’Italia esausta. Dove gli scandali (in Liguria, in Lombardia) continuano. Mentre nessuno intende mettere mano alla crisi profonda della politica e della democrazia.
Precari e condizione precaria delle ragazze che non possono pronunciare il “doppio sì” al lavoro e alla maternità (vedi il carteggio tra Maddalena Vianello e sua madre, Mariella Gramaglia), operai delle fabbriche in dismissione, esodati, No Tav: la rappresentanza espelle da sé i soggetti conflittuali. Non è presente quell’agire collettivo (con i suoi difetti e i suoi pregi) che si muove lontano dalla conta dei voti. Lontano dalla democrazia delle maggioranze. In effetti, pare che metà degli italiani poveri non andrà a votare.
D’altronde, la democrazia ha accettato una distribuzione ineguale del potere; non si muove per contrastare l’esclusione.
Tuttavia, una esclusione comincia a essere contrastata. Una ingiustizia affrontata. Ci saranno più donne in Parlamento perché sono candidate più donne.
A monte la modifica dell’art.51 della Costituzione; le quote rosa, il 50 e 50 (se pure accompagnato dall’infelice metafora delle due mezze mele); il senso comune mediatico (le donne per Monti, per Bersani, per Grillo); la crescita di soggettività femminile. Cosa cambierà? Intanto grazie a Bologna di averci dato l’occasione per discuterne insieme, con il nostro esserci materialmente, a partire da un pensiero che riconosce autorità alla politica delle donne. In continuità con Paestum.
Io sollevo però un interrogativo di fondo, giacché sono i partiti che portano le future elette in Parlamento. E i partiti sono storicamente in crisi.
Si fida di loro il 6 % degli italiani. Per la lontananza che mostrano dalla vita reale. Perché sono immobili; perché, soprattutto, si reggono su relazioni di potere: tra gruppi, aree, bande. Come si prendono le decisioni? Cosa fa da collante? Per quello che ne so, funzionano relazioni verticali e strumentali. Anche evidentemente tra uomini e donne. Oltre che tra uomini e tra donne.
Dovessi definirle, parlerei di incuria o di poca cura delle relazioni. Nel gruppo del mercoledì dove pure è al centro del nostro lavoro “la cura del vivere”, il nodo è stato solo sfiorato. Oggi una di noi è candidata ma non mi sembra di aver sentito che qualche modificazione sia avvenuta nelle relazioni all’interno del suo partito, cioè Sel. Né mi sembra che le future nuove elette abbiano voglia di affrontare il problema. Ma quale discorso pubblico fanno? Poco o nulla mi dicono del modo in cui guardano alla crisi o agli interessi in gioco. Forse usano i partiti come un tram o come un taxi? Anche questo non mi convince perché per ogni partito esistono dei punti dirimenti. Per te è dirimente il No a Monti; per me il matrimonio gay o la riduzione del valore nominale del debito accumulato.
E allora, senza pratiche convincenti, senza cura delle relazioni, la vita non sarà mai al centro della politica e continueremo ad avere una politica senza vita. Vale la pena di votare in questa situazione?