Dunque, una di noi viene dal Sessantotto e ha intravisto negli anni Settanta la possibilità di finirla con l’esperienza comunista. L’altra si porta addosso una storia tutta interna alle vicende del comunismo italiano ed è cresciuta nella Fgci di Massimo D’Alema e Walter Veltroni. Eppure, noi due abbiamo una comune valutazione degli anni Ottanta: sono stati anni buoni. Ricchi. Importanti.
Sugli anni Ottanta, il nostro giudizio si discosta da quello di Rosy Bindi. Anche se ci ritroviamo nel percorso della candidata alla segreteria del Pd.
Può verificarsi un simile accordo-disaccordo?
Il nostro amico Michele Salvati sul “Corriere della Sera”, riferendosi ai sostenitori dei candidati che organizzeranno liste locali in loro favore, si è chiesto “in che misura chi sosterrà Rosy Bindi lo farà perché è donna, perché è di sinistra o perché è cattolica”? Ecco, noi non crediamo che un candidato o una candidata, un segretario o una segretaria di partito, vadano presi “chiavi in mano”. E’ sempre buono e giusto accapigliarci, purché riusciamo a fare qualche passo avanti. A spostare (insieme) il ragionamento, ad allargare l’impresa cui si sta mettendo mano. Insomma, a scoprire nuovi e diversi punti di vista.
Per quanto ci riguarda, vorremmo, sempre che ci riusciamo, lasciare per strada un po’ delle sicurezze alle quali, pure, abbiamo avuto bisogno di appoggiarci. Senza, per questo motivo, buttare via ciò che ci ha segnato. Non siamo smemorate e con il passato siamo intenzionate a farci i conti: che è poi un modo per onorarlo.
Gli anni Ottanta, dunque. Arrivano dopo un decennio estenuato dalla violenza. Eppure, in quel decennio la parola operai era stata pronunciata con rispetto. Grazie alla loro soggettività; alla crescita della loro forza. Anche la letteratura, il fumetto, la musica, il cinema (Goffredo Fofi ricordava sul “Sole 24Ore” lo spettacolo premonitore di un film come “Blade Runner”) avevano plasmato la nostra educazione sentimentale-politica.
L’omicidio di Moro, i morti della scorta, chiudono quel decennio nel lutto. Gli anni Ottanta proveranno a dimenticare. Il lavoro perde autorevolezza. La soggettività operaia si disintegra. La crisi del fordismo produce lacerazioni profonde. L’ammirazione per la ricchezza in sé esplode allora mentre entra in panne l’ascensore sociale. La politica può garantire potere e eventualmente potere economico. I poveri cominciano ad apparire una questione, un po’ vergognosa, di ordine pubblico.
Però “il superamento delle ideologie” indicato da Enrico Letta, è stato anche altro. E non sarebbe giusto accusare questo superamento di aver giocato un ruolo tutto negativo tra “made in Italy”, “Milano da bere”, paninari e “romanzi criminali”. La cappa degli anni di piombo si alleggerisce. Dovrebbe anche rompersi la cappa dell’unanimismo con la quale le istituzioni avevano risposto all’omicidio di Moro. Ma non succede. Intanto, chi può si distrae; torna a divertirsi, a girare per le strade di sera.
Il guaio è che su quelle ideologie (e su ciò che rappresentano nella storia di ciascuno di noi) non abbiamo riflettuto abbastanza. Nessuno si prende la briga di affrontare la questione dello riflettere Stato, dei suoi rapporti con la società, dell’idea di Nazione. Ricordate le sobrie fatiche di Ciampi e della signora Franca nel cantare, mano sul petto “Fratelli d’Italia”? Intanto i giovani scelgono un esodo soft dalla politica.
Tuttavia, negli anni Ottanta succede anche altro. Anzi, succede una cosa importantissima. Esce il numero di una rivista (“Sottosopra”) di color verde che nomina un nuovo soggetto – le donne – e sostiene che quel soggetto, dotato di corpo e mente, ha “voglia di vincere”. Pone molti problemi, quel numero della rivista con la scoperta che le donne sono interessate alla politica ma non all’ideologia. Che per il sesso femminile esiste una politicità del privato non vista e non presa in considerazione. Le donne guardano alla vita reale. Nel bel libro “Terrorismo e società. Il pubblico dibattito in Italia e in Germania negli anni Settanta” (Il Mulino) Marica Tolomelli scrive che “il femminismo rimase fuori dalla sfida tra Stato e anti-Stato, così collaborando a difendere l’ordine della convivenza”. E certo, è il femminismo a preferire l’autorità al potere; la pratica politica delle relazioni agli organigrammi.
In quel momento e poi lungo gli anni a venire, si discuterà di differenza femminile. Che roba è? Definiamola con le parole della scrittrice di gialli Fred Vargas: “Una donna può stare dietro la stessa idea per giorni senza nemmeno farsi una birra”. Appunto, lo stare dietro alla stessa idea ha significato, per le donne, cambiare il rapporto con gli uomini. E cambiare gli uomini. Volete mettere la “voglia di vincere” con la proposta del cinquanta e cinquanta?
Se appena chiedeste un po’ in giro, cari Paolo Franchi e Claudio Martelli, ve lo confiderebbero anche i vostri colleghi maschi. Le cose sono cambiate in quel decennio. Ma il soggetto da cui è dipeso quel cambiamento, curiosamente, non è nominato. Così si continua a discutere di grandi temi, come la DC e il PCI di allora, il Craxi di allora, la Grande Riforma di allora, la volgarità della tv di allora senza accorgersi dell’esistenza delle donne. Mentre potremmo guardare in modo meno sbieco a quello di buono che quel decennio ci consegna. Che consiste nella scoperta di un sesso e di un altro, diverso punto di vista sulla realtà.