Una democrazia senza mediazione rimanda a spazi senza mediazione. Così Tomislav Pavelic introduce lo spazio sloveno alla Biennale di Architettura , che si è conclusa pochi giorni fa a Venezia. Titolo quanto mai carico di significati in questi tempi: Common ground, terreno comune, laddove si è capito che in questa esposizione ricca e variegata (era un po’ che non se ne vedeva una così accattivante negli spunti e nelle riflessioni), le e gli architetti hanno lavorato e ragionato intorno al “come” piuttosto che al “cosa”, ovvero come si va sostanziando lo spazio pubblico già esistente piuttosto che proporre soluzioni e idee brillanti per crearne dei nuovi.
Così gli spazi mozzafiato dell’Arsenale si sono riempiti di immagini di realtà già esistente: le foto giganti di Thomas Struth che ritraevano lavoratori e lavoratrici in sciopero, studenti manifestanti, enormi caseggiati traboccanti di popolazione. Di “cose” infatti ce ne sono già molte, è come gli spazi vengono riempiti la sfida per chi costruisce o riflette sulle metropoli e non. Si pensi a come la piazza virtuale della primavera araba si è sostanziata nei simboli materiali della rivoluzione, come ancora oggi è piazza El Tahrir a Il Cairo. A come la fabbrica, nel nostro paese sia stato per anni un luogo della collettività dimenticato dai più, fuori dal dibattito sul lavoro e dalle esigenze di chi la abita e oggi ritorna luogo fisico del confronto e dello scontro. Scontro dove anche i corpi si spingono al sacrificio estremo della permanenza su una torre, della morte drammatica in un altoforno o su una gru, come è accaduto all’Ilva di Taranto. Nella democrazia senza mediazione i luoghi vengono occupati da esistenze e figure di donne e uomini che a mediare non sono più disposti, e riprendono quello spazio come luogo pubblico dove le “cose” cioè quanto è interesse comune della collettività, ed è anche così che le strade e le piazze ritornano a essere terreno di scontro fisico. Quando non addirittura le profondità della terra, che hanno ospitato le proteste delle e dei minatori sardi.
Persino le recenti code per esprimere il proprio voto alle primarie del centro sinistra hanno ridato sigificato a uno spazio pubblico, finalmente vuoto di progetti e pieno di corpi. Così l’architettura si interroga, chiedendosi se la sostenibilità non sia solo la salvaguardia dell’ambiente naturale, ma anche la protezione degli spazi mentali individuali, del pensiero e delle relazioni delle collettività.
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