Durante l’omelia di Pentecoste papa Benedetto XVI ha annunciato che a ottobre, in apertura del sinodo sulla nuova evangelizzazione, proclamerà dottora della Chiesa, dopo Teresa D’Avila, anche Ildegarda di Bingen, la mistica del XII secolo.
Contemporaneamente, nei giorni passati, su tutta la stampa, si è data notizia del commissariamento, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, dietro approvazione del Papa, delle suore americane della Conferenza delle superiore maggiori in quanto le loro dichiarazioni pubbliche “sfidano i vescovi, autentici maestri della Chiesa, della fede e della morale” e le loro idee sull’omosessualità, sull’aborto, sul sacerdozio femminile sono “temi da femministe radicali incompatibili con la dottrina cattolica”. Insomma, la gerarchia della chiesa si è messa, come in altri momenti della sua storia, contro donne che non riconoscono l’autorità maschile.
Ebbene, Ildegarda di Bingen, proprio lei, fu maestra in fatto di libertà e di autorità femminile. Fu lei ad aprire la “mistica” a quelle che vennero dopo di lei: Teresa D’Avila, Margherita Porete, Beatrice di Nazareth, Hadewijch, le“amiche di Dio”, come le chiama Luisa Muraro. Donne che sperimentano il rapporto diretto con Dio, come fonte di conoscenza – come nelle “visioni” di Ildegarda -, da cui insegnare alle donne e agli uomini che a loro si rivolgono e a quelle che vengono loro affidate. Ildegarda non riconosce l’autorità maschile nel suo insegnamento, non insegna a partire dai libri degli uomini, dalle loro dottrine, dalla loro morale, ma da donna, femminista, sì, radicale, sceglie Dio al posto degli uomini e l’autorità materna al posto di quella paterna.
Proclamare Ildegarda dottora della chiesa e condannare le suore americane , è una contraddizione in essere. Ildegarda, nei monasteri di Disibodenberg e di Rupertsberg, da lei fondato nel 1150 e dove morì nel 1179, godette di grande autorità e libertà. A lei si rivolgono teologi, vescovi, re, uomini di potere, che si mettono in ascolto della sua parola. Le donne, le sue novizie, le badesse di altri monasteri, si rivolgono a lei, ad una donna, perché vedono in lei “la vera luce”, piuttosto che a coloro, gli stessi di oggi, ai quali un’istituzione secolare assicura il potere di stabilire le norme di vita e di indirizzare le scelte.
Questa quiete trasgressione – come scrive Marirì Martinengo nel libro Libere di esistere -, il deliberato proposito di affidarsi ad una donna che non è superiore a loro gerarchicamente, ma che è grande in sé, ristabilisce l’autorità materna. Credere, come fanno le badesse, le novizie, le donne e gli uomini, che si rivolgono ad Ildegarda, alla parola di un’altra donna, è far parte dell’ordine materno, cioè di una struttura simbolico – sociale che vede nella madre la fonte di autorità per le figlie e i figli. < Dio è madre e padre>, disse Papa Luciani. Benedetto XVI, che ha deciso di proclamare Ildegarda dottora della chiesa, e la gerarchia tutta sono pronti ad ascoltare per intero la parola di Ildegarda? La vicenda delle suore americane, come tante altre, spinge a rispondere: no.
Se Ildegarda è dottora della chiesa, o lo è per intero o altrimenti non ha senso. Non si può dividere il suo insegnamento, sarebbe come separare il suo spirito dal suo corpo, cosa che lei non accettò mai nella sua vita. Lei non conosceva opposizione tra spirito e materia, tra anima e corpo, tra contemplazione e azione, tra celeste e carnale. La sua stessa visione era segnata dalla non opposizione spirito-materia: all’esperienza conoscitiva partecipava anche il corpo con i suoi sensi, non solo la mente. Ildegarda dottora della chiesa? Sì, ma in quanto donna, maestra di libertà e di autorità femminile per donne e uomini, in quanto fondatrice di un ordine materno dentro cui si inseriscono anche le suore americane. Uomini di chiesa siete pronti ad accettare Ildegarda come dottora, accettando di riconoscere e confrontarvi con la libertà e l’autorità femminile nel presente? Altrimenti, lasciate perdere.