Riceviamo dalla Casa delle donne di Torino i testi relativi a questa iniziativa per intervenire sulla riforma delle pensioni recentemente approvata:
Come ricorderete, l’8 marzo abbiamo lanciato la raccolta firme a sostegno di una petizione per il cambiamento della manovra di fine anno sulla Previdenza Pubblica:
Le pensioni delle donne: perché punire chi lavora di più?
Abbiamo messo in funzione un meccanismo di firma elettronica e predisposto un modulo cartaceo per la raccolta delle firme.Le adesioni che ci sono già pervenute via mail sono state registrate.
Vi chiediamo di diffondere, nel più breve tempo possibile, l’iniziativa fra tutti i vostri contatti e con le donne e gli uomini che conoscete.
Quando avremo raggiunto un numero di firme significativo, intendiamo fare un lancio dell’iniziativa anche sui media. Per facilitare l’adesione abbiamo predisposto questa mail con la possibilità di sottoscrivere direttamente la petizione. Qualora il tuo computer non lo consentisse, ti chiediamo di re-inviarci questa mail con la tua adesione.
Per sottoscrivere puoi anche accedere ai siti:
http://www.casadelledonnetorino.it/
http://www.almaterratorino.org/
dove troverai tutte le indicazioni utili.
Se con qualche amica hai la possibilità di organizzare un banchetto ai mercati o in qualche piazza cittadina significativa, mettiti in contatto con noi che inoltreremo la richiesta di permesso “suolo pubblico”.
Ecco il testo della petizione:
Al Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Monti
Alla Ministra del Lavoro, Politiche sociali e Pari opportunità Elsa Fornero
e p.c. Al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano
Le pensioni delle donne: perché punire chi lavora di più?
Alla fine dello scorso anno è stata varata una radicale trasformazione dei compiti e del funzionamento del sistema previdenziale pubblico del nostro Paese.
Siamo consapevoli e concordi che si debba attuare un sistema pensionistico sostenibile. Proprio perché crediamo nella sostenibilità (e su questo abbiamo molto da dire anche al di là del tema delle pensioni), vogliamo che sia chiaro alla società intera che non può esistere sostenibilità ed equità in provvedimenti che non tengono in alcun conto le nette disparità nei lavori e nelle opportunità di lavoro fuori casa tra donne e uomini, le forti disuguaglianze di trattamento economico e di condizioni di lavoro tra lavoratrici e lavoratori.
Il sistema pensionistico non può essere utilizzato per fare cassa.
Siamo convinte che le disparità di genere non possano essere prese in considerazione solamente dal trattamento pensionistico alla fine della vita lavorativa, ma che la loro attenuazione richieda anche un approccio più globale.
Siamo altrettanto sicure, però, che un sistema previdenziale pubblico, per essere tale, non possa solo operare alla stessa stregua di una assicurazione individuale e privata anche perché questo penalizza la maggioranza delle donne.
Se la pensione pubblica è il risultato di un percorso lavorativo, non c’è giustizia nel considerare i “contribuenti” tutti uguali: non c’è giustizia perché non tutte e tutti svolgono gli stessi lavori e non a tutte e a tutti sono date le stesse opportunità di presenza sul mercato del lavoro.
E’ inoltre necessario confrontarsi con le trasformazioni già avvenute e che avverranno nella composizione dei nuclei familiari e tenere in conto che il reddito pensionabile delle donne sempre meno sarà la conseguenza dei legami che le uniscono ai loro mariti.
Quello che vogliamo evidenziare per richiederne il cambiamento è che la trasformazione del sistema previdenziale pubblico attuata dalla manovra di fine 2011 determina già oggi, e ancor più determinerà in futuro, diritti pensionistici inferiori (in certi casi addirittura l’esclusione) per la stragrande maggioranza delle donne native e migranti che vivono e lavorano (dentro e fuori casa) in questo Paese.
Vogliamo sottolineare inoltre che, quando si interviene per definire un sistema previdenziale pubblico, non si possono cancellare i fatti, ampiamente dimostrati dai dati statistici, che mettono in luce le forti iniquità esistenti nella suddivisione dei lavori, nel posizionamento sulla scala professionale, nelle importanti differenze retributive a parità di inquadramento tra donne e uomini, nelle differenze dei tempi e della qualità del lavoro e dei lavori che le donne svolgono.
Non basta fotografare queste differenze e poi accettarle come ineludibili!
Per queste ragioni chiediamo con forza che:
- Sia tenuto in conto il valore sociale (ed economico) dei lavori che le donne svolgono e che sono la garanzia della sostenibilità umana anche di questo Paese: questi lavori spesso si “aggiungono” al lavoro fuori casa e sono causa di esclusione dal mercato del lavoro. Devono essere riconosciuti da una efficace contribuzione figurativa.
Per questa ragione devono essere rivisti i criteri di calcolo dei coefficienti di rivalutazione e di trasformazione per far sì che la pensione non diventi fonte di povertà per tante donne anziane.
- Si rimuova la penalizzazione introdotta dallo scorso governo nei confronti delle pubbliche dipendenti e sia attuata anche per loro la gradualità (già insufficiente) prevista per tutte/i coloro che lavorano nel privato.
- Sia tenuta in conto la faticosità dei lavori di molte operaie e operai perché in un Paese “civile” non può essere consentito che donne e uomini svolgano quei lavori sino a 67 anni e oltre. Nessun sistema economico degno di questo nome può essere interessato ad una forza lavoro manuale di questa età.
- Sia tenuto in conto che non si può ipotizzare un Paese dove a lavorare negli asili nido, nelle scuole materne ed elementari siano educatrici e educatori (in maggioranza donne) che sono obbligati a prestare il loro lavoro sino a 67 anni e oltre.
E neppure un Paese dove a svolgere i lavori di infermiera/e, di operatrici/tori sociosanitari e ausiliari negli ospedali, nelle strutture per anziani e per portatori di handicap, nell’assistenza domiciliare siano delle donne (in maggioranza) e degli uomini sino a 67 anni e oltre.