Desidero lanciare alcuni spunti di riflessione a partire dal bell’articolo di Alberto Leiss.
Il tema della cura mi appare assolutamente centrale. La crisi che viviamo lo indica come un passaggio fondamentale per una ridefinizione della politica. La crisi che viviamo non è solo una delle crisi del capitalismo che hanno ritmato il Novecento. E’ una crisi radicale di civiltà che ha la sua manifestazione massima nella crisi ambientale. In termini più precisi, si tratta dell’inizio della crisi della riproduzione della vita sul pianeta. Ricordo che ciò che viene molto riduttivamente chiamato inquinamento ambientale ha già intaccato il genoma, quindi sta agendo nella riproduzione dei viventi. La questione della produzione e del lavoro va colta dentro quella della riproduzione. La questione del lavoro non può essere affrontata a prescindere dalla questione ambientale che significa considerare l’ambiente come una matrice e non come un magazzino di materie prime. La cura è cura per la vita (non solo degli umani). L’aver messo al centro della politica il tema della cura per la vita da parte del movimento delle donne è stato l’apporto più creativo degli ultimi decenni al pensiero e alla pratica politica.
La cura, è prima di tutto, per usare una nota espressione, mettere al mondo il mondo, permettere cioè al mondo di rinascere ogni giorno (tempo come kairòs). Questa impostazione porta a concepire il lavoro produttivo come attività creativa a partire dal dono che la terra offre degli elementi della vita, che è simbiosi, cioè relazione, fra umani, viventi non umani, vegetazione e elementi ‘naturali’ mai passivi. Ciò significa un nuovo modo di produzione, dentro e non contro la riproduzione della vita, il quale non può che partire dal livello locale (mi permetto di consigliare a chi per caso non lo conoscesse l’ottimo libro dell’urbanista Alberto Magnaghi Il progetto locale). Non si tratta quindi di una generica utopia, ma, al contrario di partire dal luogo in cui si vive individuando le situazioni specifiche in cui agire. Come sappiamo nel locale agisce il globale. Nel territorio in cui vivo, tanto per fare degli esempi: questione dei rifiuti (incenerimento), TAV (che dovrebbe passare per la bassa friulana e il Carso), questione dei migranti (qui numerosi). Nel primo (giovani madri ribellatesi a un inceneritore) e nell’ultimo di questi esempi c’è una questione di genere; nel secondo una questione di democrazia.
In tale contesto la cura non ha nulla a che vedere con “la funzione oblativa e subalterna” della cura domestica, di cui bisogna ricordare, comunque, che, senza di questa pur tenuta in condizione subalterna, il mondo non sarebbe sopravvissuto.
E’ molto interessante la riflessione di Bonfiglioli, che mi ricorda un grande testo filosofico del 1927, Essere e tempo (Sein und Zeit) di Martin Heidegger (in cui credo sia possibile ritrovare un’implicita inconsapevole questione di genere), che è una articolatissima meditazione sulla cura (Sorge) come rapporto con il tempo inteso proprio come kairòs, cioè come continuo rinascere. Il capitalismo, la cui aggressività nichilista è il culmine dello stigma maschile, ha ridotto il tempo a corsa indefinita nella produzione di merci sganciate da ogni bisogno funzionale esclusivamente alla produzione di denaro, come forma astratta di relazione, che ne consente inoltre la concentrazione in pochi centri mondiali di potere. E’ sotto gli occhi di tutti la devastazione che sta avvenendo ora in Europa (dopo quella in tanta parte del mondo) a partire dalle società statualmente più deboli come la Grecia e anche in Italia, anche con modifiche radicali della sovranità ormai in via di devoluzione alle istituzioni finanziarie mondiali. Ciò comporta una grave atrofia del tempo sociale, come si vede nella condizione giovanile di un paese come l’Italia.