C’è poco da girarci intorno, a Genova nelle primarie del centrosinistra il candidato, Marco Doria, ha sconfitto le due candidate, Roberta Pinotti e Marta Vincenzi, sindaco uscente. Un uomo, insomma, ha sconfitto due donne. Non è l’unica chiave di lettura possibile di queste primarie, che hanno provocato un vero terremoto. Tanto che il segretario regionale Lorenzo Basso e quello provinciale Victor Rasetto si sono entrambi dimessi dalle loro cariche nel Pd, e che in molti, sempre nel Pd, ne approfittano per mettere in discussione proprio le primarie stesse. Però le considerazioni, come di dire, di sesso, sono molto pertinenti. La stessa sindaco – perché non si è mai decisa a farsi chiamare sindaca? – che non parteciperà alle prossime elezioni, nelle reazioni post-voto, non esattamente all’insegna del fair play, evoca l’incubo di un’Italia dove dopo le prossime amministrative non ci saranno più sindache nelle grandi città, ritenendosi ultima di una falcidia cominciata con la sconfitta di Letizia Moratti a Milano per opera di Pisapia e proseguita con Rosa Russo Iervolino, messa da parte a Napoli.
Un’affermazione forte, che fa colpo. Tutta da discutere, a mio parere.
A parte che bisognerebbe perlomeno aspettare le primarie di Palermo, previste il 4 marzo, dove con altri tre, è candidata Rita Borsellino, cosa si dovrebbe pensare, che c’è una congiura di uomini per riprendersi il potere?
Uno schema facile, sempre buono, gli uomini, si sa, non amano perdere il potere.
E sicuramente le paginate e i servizi tv come su internet all’insegna dello “scontro tra le due zarine” erano segnati da una forte e fastidiosa misoginia. Eppure. Un partito diviso ha scelto una donna per sconfiggere una donna, che non voleva più sostenere. Non è stato sufficiente. Troppo simili, nella loro diversità, le due candidate. Una lunga storia politica, molti incarichi, molta visibilità.
L’insegnamento più chiaro, e più severo, da questo punto di vista, è proprio questo: che non basta essere donne per significare il nuovo. Non più, perlomeno. Che sarà il caso di avere idee, parole, obiettivi che diano senso al proprio essere donne: nuove del potere, con il progetto di un potere diverso.
Insomma l’effetto sorpresa, delle donne che ce la fanno, che salvano il mondo, non può essere usato per carpire la buona fede degli elettori. Siamo in una situazione nuova, che si potrebbe definire “dopo la prima volta”. Le primarie di Genova lo mostrano con chiarezza cristallina, è importante esserne consapevoli, per non cadere nella sindrome della “piccola orfanella”, a cui manca sempre qualcosa.
Donne entrano ed escono dalla scena politica. A volte vincono, a volte perdono. Sempre troppo poche, in Italia, d’accordo. Bisogna vigilare, senz’altro. Ma bisognerà avere la forza di accettare che le sconfitte sono nel merito, sono sconfitte politiche. Per mancanza di credibilità, per comportamenti che hanno creato una crisi di fiducia nei cittadini che pure avevano votato con entusiasmo. Che la sconfitta di una singola donna non è la sconfitta di tutte. Che la durezza della politica, così costruita dagli uomini a propria misura, forse chiede molto alle donne, anche le più intenzionate a farsi identiche a loro.
Non vorrei che attente come siamo a contare le donne sulla scena, non sapessimo vedere che è sempre più difficile riconoscerle. Non vorrei che a segnalare qualche differenza rimanessero le giacche colorate di Angela Merkel.