Non è mai utile leggere con gli occhiali dell’oggi uno scritto, un’opera, un libro del passato. Che ci darà sicuramente degli spunti, dei suggerimenti e quindi non va mandato al macero o chiuso in un cassetto ma deve essere inserito nel suo contesto. Se non si vuole darne una lettura parodistica e derisoria.
Badate a quello che sta succedendo del “Manifesto di Ventotene”, strapazzato in queste ore dalla presidente del Consiglio per polemizzare con la manifestazione di sabato scorso, convocata da Michele Serra e voluta dal suo giornale, “Repubblica”, che il “Manifesto di Ventotene” l’ha distribuito in piazza del Popolo.
Ora, “Per un’Europa libera e unita. Progetto d’un manifesto”, scritto dai confinati Altiero Spinelli e Ernesto Rossi nel 1941, con il contributo di Eugenio Colorni che ne curò poi la pubblicazione accompagnandola con la sua introduzione e diffuso grazie ad alcune donne tra le quali Ursula Hirschmann e Ada Rossi che lo portarono dall’isola sul continente, è stato citato testualmente, ma parzialmente, da Giorgia Meloni per sottolineare quanto sia lontano dalla sua idea di Europa (tralasciando di ricordare che gli autori del Manifesto erano confinati a Ventotene dal regime fascista e si interrogavano su come costruire una Europa federale e democratica mentre era in corso la guerra mondiale).
Evidentemente, la premier non ha mai nascosto il suo essere sovranista e nazionalista e dunque la lontananza dal Manifesto ha una logica. Ma poteva dichiararla alla festa di Atreju, in un comizio, per parlare alla sua base. Invece, in un’aula del parlamento è stata interpretata come il tentativo di nascondere le divisioni nella maggioranza di governo.
Quanto alle opposizioni, sono cadute nella trappola con l’ennesima crisi di nervi.
La presidente del Consiglio ha trasformato “Repubblica” nella controparte, ampliandone il peso politico. Dopodiché, ha provato a metterci una pezza sostenendo di aver letto il Manifesto “non per quello che il testo diceva 80 anni fa ma per il fatto che è stato distribuito sabato scorso e quindi un testo che 80 anni fa aveva una sua contestualità, se tu lo distribuisci oggi io devo leggerlo e chiederti se è quello in cui credi”. In verità, curiosa spiegazione. Se un giornale mi regala “L’Eneide” io dovrei identificarmi in Didone e cercare la spada con cui pugnalarmi?
Il Manifesto, con la sua impostazione socialista, va inquadrato nel suo tempo. E del tempo dovrebbe tenere conto la politica, preda invece di grossolane strumentalizzazioni. Perché il tempo incide sui sistemi di pensiero, sull’ordine simbolico che non resta sempre identico a se stesso, perché provoca quei cambiamenti del mondo che sono davanti ai nostri occhi.
Volete un altro esempio, meno eclatante?
La prima pagina dell’inserto culturale domenicale del “Sole 24 Ore” è dedicata ai capolavori della letteratura riassunti da scrittori italiani. Una faccenda niente affatto semplice quella del riassunto, almeno se interrogo la mia nipote di undici anni.
Sarà per via del suo essere nativa digitale, la vedo preda di una ragnatela nella quale la misera creatura si blocca al primo nodo per tornare indietro, frenare, deviare, commentare, smentire e perdere il filo del racconto, a dimostrazione della fatica che occorre nel fare sintesi.
Ci riescono egregiamente, nel 1982, Giovanni Mariotti (La Divina Commedia di Dante Alighieri), Alberto Arbasino (Madame Bovary di Gustave Flaubert) Luigi Malerba (L’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto) e Italo Calvino, Ruggero Guarini, Attilio Bertolucci, Piero Chiara, Giovanni Giudici, Cesare Garboli, Alberto Moravia, Giovanni Raboni, Umberto Eco nell’antologia d’autore “Elogio del riassunto” curata dallo stesso Eco per il settimanale “L’Espresso” e ora riproposta dalle edizioni Henry Beyle con disegni di Tullio Pericoli, (pagg.100, euro 30) tiratura 500 copie.
Una sfilza di importanti autori al servizio di capolavori. Autori sì ma non autrici. Nessun nome di scrittrice. Avrà una nera pestilenza colpito in quell’anno Anna Banti, Natalia Ginzburg, Dacia Maraini, Elsa Morante, Anna Maria Ortese, Lalla Romano? Avranno tutte graziosamente declinato l’invito, prese da altre faccende, probabilmente domestiche?
Un bel problema per quelle come me che sbrigativamente parlerebbero di “misoginia”, anche se escluderei che Eco coltivasse un atteggiamento di avversione o svalutazione verso le donne. Piuttosto, quarantatré anni fa si faceva ancora fatica a riconoscere l’esistenza dei due sessi (perché c’erano meno donne scrittrici, anche se un po’ ce n’erano di architette e magistrate e vigili urbane). Ma da quegli anni il sesso femminile ha preso la rincorsa. Ha rigirato la frittata. Per cui insieme ai riassunti degli scrittori oggi abbiamo a decine le scrittrici che ci sventolano davanti al naso i loro meravigliosi riassunti.