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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Le conseguenze della diserzione dal patriarcato

28 Febbraio 2025
di Letizia Paolozzi

Centottanta le iscritte a “Insieme a febbraio – Il permesso del mondo”, incontro femminista voluto per il terzo anno da Alessandra Bocchetti e Franca Chiaromonte. Due giornate intense, dai toni poco gergali e niente affatto monotone, intorno alla politica delle donne, fatta di relazioni da rinsaldare (“Dobbiamo imparare a confliggere tra noi senza ferirci”), parole da scambiare, socialità da assaporare, scorrono al cinema Farnese di Roma.
Tra le tante che hanno parlato: Linda Laura Sabatini, Fulvia Bandoli, Flavia Fratello, Anna Maria Carloni, Nicoletta Tiliacos, Adriana Cavarero, Olivia Guaraldo, Giovanna Borrello, Nadia Fusini, Cristina Comencini, Cristina Gramolini, Chiara Risoldi, Giovanna Martelli, Serena Sapegno, Francesca Izzo, Alberta De Simone, Katia Ricci, Alessandra Lanini, Stella Zaltieri Pirola.
Le più giovani vanno al microfono e annunciano: “Sono lesbica” ispirandosi a un posizionamento suggerito dalla pratica delle americane. Dopodiché portano argomenti interessanti sul web, sulle “madri storiche” e sulla loro generazione.
Giovani e meno giovani comunque provano a fare i conti con se stesse. Non sono particolarmente colpite dalla spinta a restaurare un ordine conservatore da parte del governo e dei governi che ci circondano né si fermano ad analizzare le radici dello sfruttamento.
Sì, certo, minaccioso è questo riemergere del patriarcato. E inquietante l’interrogativo se saprà il femminismo rispondere alla ferocia delle guerre; al ribaltamento delle alleanze con la Corea del nord, Bielorussia, Usa, Russia che all’assemblea Onu votano insieme contro la risoluzione dell’Ucraina e Unione europea.
E reagire ai discorsi intrisi di mascolinità tossica come quelli di Robert Kennedy jr al Dipartimento della Salute americano: “Ci sono solo due sessi perché ci sono solo due tipi di gameti”.
Bisognerebbe leggere il basso tasso di fertilità dell’Europa (ma non solo dell’Europa) come una diserzione femminile dal patriarcato, un rifiuto a far nascere dei bambini su una terra ferita da conflitti armati e precipitata nella crisi ambientale.
Certo, sottrarsi alla tutela (anche amorosa) maschile, comporta costi pesanti. La crisi del patriarcato genera disordine; produce reazioni violente, caotiche nella scena politica, sociale che cambia radicalmente. (E non mancano, per la seconda volta, a Roma, gruppi maschili e queer che si autoconvocano domenica 2 marzo alla mattina per un incontro “aperto a tutte le persone” e con l’invito a “disertare il patriarcato”).
Scena sulla quale ha inciso il Covid, che spingeva a chiudersi, a isolarsi, a asserragliarsi. E se “in principio fu la relazione” (Martin Buber), adesso le relazioni sembrano svalorizzate, poco curate.
Eppure, all’inizio della pandemia, circolava il sogno di riformare i rapporti, la speranza che i paesi più ricchi si mostrassero generosi con quelli in difficoltà. Per esempio, nella distribuzione dei vaccini.
Niente di tutto questo è avvenuto. Scomparsa la diplomazia dei tavoli, si sono eretti muri. Molte donne sono tornate a casa. Altre per combattere le battaglie degli altri, mettono in secondo piano, tra parentesi, l’oppressione femminile, la stessa loro oppressione.
D’altronde, come piccolissimi esempi, non avete notato che sempre più spesso la presentazione di libri, la discussione sui film, tornano a essere animate solo da maschi?
Forse hanno ragione Alessandra Bocchetti e Franca Chiaromonte che nei quattro testi in preparazione dell’incontro pessimisticamente scrivono: “Nella testa degli uomini siamo ancora la questione femminile, una questione a parte”.
Vero è che il dominio maschile continua a insinuarsi nella vita quotidiana, nella legge, nelle istituzioni. L’ha mostrato con grande efficacia Laura Massaro che, sostenuta dall’associazione Differenza Donna e ora insieme al Comitato Madri Unite contro la violenza istituzionale (che si oppone alla legge 54 e alle conseguenze drammatiche dell’applicazione della bigenitorialità obbligatoria), da anni lotta contro la Pas, Sindrome di alienazione parentale, patologia non riconosciuta dalla comunità scientifica di cui spesso vengono accusate le donne che si oppongono all’affidamento dei figli a padri violenti.
Si dovrebbe aggiungere che le donne singole non possono avere figli in sicurezza con la procreazione medicalmente assistita giacché l’articolo 5 della legge 40 consente solo alle coppie di sesso diverso di accedere alle tecniche di fecondazione assistita (l’associazione Luca Coscioni si sta battendo affinché scompaia questa discriminazione).
Dunque, il femminismo ha ancora molto terreno da dissodare per reinventare il patto sociale.
Ma non tutti i femminismi sono ugualmente desiderabili giacché “non è femminismo se non c’è pensiero della differenza” (Alessandra Bocchetti). Purché – dico io – la differenza sessuale sia qualcosa di meno anchilosato, meno cristallizzato di quanto molte di noi tendono a pensare dal momento che l’identità di ciascuna/o di noi è l’incrocio, il crocevia di appartenenze.
“I tanti io di cui siamo composti, sono sovrapposti come una pila di piatti in mano a un cameriere” (da “Orlando” di Virginia Woolf).
Altro tema a provocare discussione, la lontananza dal transfemminismo e dalle ragazze di NUDM descritte come un oggetto misterioso, un pianeta distante. Alcune hanno fatto derivare quel movimento dall’aggressività dei cortei anni 70-80, dai centri sociali come luoghi del disagio; altre hanno sostenuto che NUDM ci strappa le ragazze e che dobbiamo riprendercele, quasi che queste stesse ragazze non fossero in grado di scegliere con la propria testa.
Ancora, ci sono quelle che restano aggrappate alle affermazioni ultimative (d’altronde, in queste affermazioni si tocca una delle convinzioni più radicate della nostra società), proclamando senza appello che gli esseri umani sono ineluttabilmente divisi in maschi e femmine, assunto ripetuto nella “Lettera aperta a chi manifesterà l’8 marzo 2025”.
Ma il femminismo, proprio per non riportare in auge il patriarcato, sapeva confliggere con cura e attenzione verso chi aveva idee diverse rispetto alla differenza. Perfino in uno spettacolo poco fluido come il festival di Sanremo di quest’anno, il cantautore Lucio Corsi ha saputo sparigliare cantando che voleva “essere un duro però non sono nessuno”.
Insomma, di materia al cinema Farnese ne è circolata tanta. Bisognerebbe tentare di “non disperderla” (Cristina Comencini) con qualcosa di concreto, magari una rete, una piattaforma che riesca a mettere in circolo le informazioni. Il timore però è che una proposta organizzativa finisca per azzerare lo spazio collettivo dove si srotola il prezioso “pensare in presenza” (titolo di un libro di Chiara Zamboni), quel porre domande che per due giorni sono state il filo della politica delle donne.

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