Pubblicato sul manifesto il 15 ottobre 2024 –
Al termine di tre settimane di “vacanza” (da un punto di vista etimologico, forse qualcosa tra l’essere vacuo e l’essere libero) a Creta, domenica ho salutato ancora una volta il mare libico. Mi piace molto il Sud di quest’isola che è una delle terre più a sud dell’Europa. L’orizzonte del mare sembra più alto. Dietro le spiagge e una breve pianura inclinata crescono monti aspri e molto alti. Forse c’è una gara tra loro e il mare. Ma è chiaro di chi sarà la vittoria.
Di fronte all’isola, lontano ma non troppo, la città libica di Tobruk. Più a oriente Alessandria di Egitto. E ancora più a est Gaza, Israele, il Libano. Come non pensarci?
Ho letto sul sito MELTING POT EUROPA che l’isola semideserta di Gavdos, sotto Creta e ancora più a Sud, è diventata nei primi mesi di quest’anno meta di una nuova rotta migratoria. Centinaia, soprattutto giovani maschi, sono partiti da Tobruk – egiziani, pakistani e bengalesi – in mano a trafficanti libici. E le autorità greche si sono subito preoccupate temendo che la “vetrina turistica di Creta” ne fosse danneggiata.
Per fortuna in questa stagione e nella parte meridionale dell’isola il turismo non si vede troppo. La vita scorre tranquilla e ospitale. Si incontrano spesso capre e pecore che passeggiano sull’asfalto delle strette strade tutte curve, sicure che le automobili rispetteranno il loro cammino. I bagnanti nell’acqua limpidissima e abitata da molti pesciolini e altre creature marine sono piuttosto rari.
Una “periferia” del Mediterraneo che è stata un centro originario della sua civiltà, fino a risalire al mito che tutti conoscono. Il “filo di Arianna”, metodo semplice e geniale, di chi sa tessere, per uscire dai labirinti. O il modo di dire “piantare in asso”, specialmente la fidanzata o il fidanzato. Come si sa l’odioso Teseo, aiutato e reso un eroe contro il Minotauro dall’amore di Arianna e dal suo filo, finì per abbandonarla nell’isola di Nasso (piantandola, appunto, in Nasso).
Miti e leggende raccontano poi in modi diversi la reazione della principessa micenea (o forse meglio minoica). Fece coppia nientemeno che col dio Bacco-Dioniso: chi dice per volere del dio stesso, chi invece per sua scelta di libertà e piacere, dopo aver incontrato sull’isola le baccanti.
Nei secoli la fama di Teseo, forzuto emulo di Ercole, fondatore della grandezza di Atene, vincitore sulle temibili Amazzoni, incallito sciupafemmine, è andata corrompendosi.
Nel teatro di Marina Cvetaeva Arianna cerca di parlare di sé: «È un crittogramma una vergine:/ È necessaria una chiave (…) È intenzione una vergine:/ È necessario orecchio…». Ma lui sa solo paragonarsi a un «carbone indurito (…) di sogni ignaro/Ai riflessi cieco», per poi confessare: «Ho udito, ma non ho capito».
Da simbolo originario di una civiltà democratica fiera di se stessa a figura del tramonto del patriarcato?
Dopo alcune migliaia di anni si riesce forse a fare bene?
Per restare a un antico pensiero greco, c’era questa speranza. Un detto assai noto del filosofo Senofane, intorno al quinto secolo a.c.: «Non dall’inizio gli dei rivelarono tutto ai mortali, ma col tempo questi, cercando, trovano il meglio». Una visione, diciamo così, “laica” sulle capacità costruttive e inventive dell’intelligenza umana.
Oggi vediamo uomini ancora devoti a qualche dio, in più o meno buona fede, da una parte e dall’altra, impegnati nella costruzione più radicale dell’odio e nell’invenzione più spietata della guerra.
Ma anche emanciparsi da dio, o se si preferisce dagli dei, come sappiamo, non è semplice, ed è anche molto pericoloso.