«Guerrieri con le armi degli altri, pacifisti sulla pelle degli altri, qualcuno anche filorusso…». A noi che non disprezziamo il fatto che i parlamentari italiani a Strasburgo abbiano espresso opinioni diverse e divergenti sull’uso di armi italiane per attaccare il territorio russo è arrivato il risentito disprezzo, sul Corriere della sera, dell’ipercritico Aldo Grasso.
Per quanto mi riguarda non voglio ripagarlo con la stessa moneta, ma invitarlo a leggere e riflettere sulla bella intervista di Annalisa Cuzzocrea a Jonathan Safran Foer, su La Stampa di domenica.
Lo scrittore americano non ha dubbi che si debba stare «eticamente» dalla parte degli ucraini aggrediti, e non crede che Putin sia «un avversario sano di mente, con cui è possibile parlare». Ma aggiunge: «La domanda è quali siano i limiti di questa posizione, perché ce ne sono. Spero solo che tra un paio d’anni non ci guarderemo indietro pensando che avremmo dovuto forzare la pace quando avremmo potuto farlo, avendo raggiunto un punto in cui non sarà possibile». E poco prima aveva risposto alla domanda proprio sull’uso delle armi occidentali per attaccare obiettivi russi con queste parole: «È una di quelle situazioni in cui ogni passo lungo il cammino può sembrare logico e giusto, ma poi ti ritrovi in un posto in cui non volevi essere. Nessuno al mondo vuole una guerra con la Russia, non finirebbe bene».
Safran Foer simpatizza per i democratici e la Harris, ma esorta a non pensare che tutti i repubblicani e i loro elettori siano cloni di Trump. È un intellettuale ebreo, e sulla tragedia di Israele e della Palestina parla della disperazione sia degli ebrei sia dei palestinesi. Una «totale mancanza di speranza» che «porta le persone a prendere decisioni sbagliate». Ci sarebbe bisogno di un «enorme lavoro di ricostruzione da fare e quello che so è che non si potrà fare né con Netanyahu né con Hamas al potere… può essere che non ci sia futuro senza la fine di Hamas ed Hezbollah e senza che in Israele scoppi qualcosa di simile a una guerra civile. Spero non accada, ma la situazione in cui l’intera regione è stata tenuta negli ultimi 30 anni non è sostenibile. Certo non lo è per i palestinesi. Servono nuovi attori, ma è più facile a dirsi che a farsi».
Le posizioni rigidamente contrapposte, il disprezzo dell’altro che non la pensa come te e quindi è un nemico, o un amico del nemico, sono favorite da un ruolo dei social media che spinge all’infantilizzazione. «Perché i bambini fanno i capricci? Perché urlano e piangono? Perché attirano l’attenzione. Tutto sui social media urla per farsi notare…».
Il pessimismo della ragione non blocca l’ottimismo della volontà. Un poeta israeliano ha scritto su La sfocatura della gioia e la precisione del dolore. Quando le cose vanno così male è ovvio concentrarsi sul dolore. Ma non bisogna ignorare la gioia che pure esiste e viene vissuta. La disperazione «non realizza nulla: è narcisistica».
Non so se Safran Foer ha ragione dicendo che «le persone positive nel mondo sono la maggioranza», ma lo seguo quando afferma che «è assolutamente essenziale essere vigili su ciò che non va, ma è ugualmente essenziale essere vigili su ciò che va bene». E quando osserva che «non è mai stato così importante stare attenti alle parole, che invece stanno diventando sciatte e inaccurate». Insistendo sul fatto che la cultura e l’arte possono essere molto importanti per «spostare l’ago della bilancia».
Chi con le parole lavora, senza maneggiare armi e rischiare la vita – direi tornando alle invettive di Grasso – non farebbe meglio a valutare questi interrogativi invece che trincerarsi nelle proprie certezze?