Pubblicato sul manifesto il 30 luglio 2024 –
di Alberto Leiss
Sapevo poco o nulla, confesso, della popolazione drusa che vive nei territori del Golan. Occupati dagli israeliani nel 1967 e annessi al loro Stato nell’81. Decisione mai accettata dalle Nazioni unite (ma alla fine invece sì dagli Usa). Nelle cronache giornalistiche leggo del loro dolore intenso attorno alle bare dei ragazzini uccisi da un missile che sarebbe stato lanciato dagli Hezbollah, dalle loro basi nel confinante Libano. Viene descritta la gelosa chiusura con cui celebrano il loro rito funebre.
Non hanno accolto bene i rappresentanti del governo centrale israeliano. Sono musulmani ma piuttosto eretici. Si considerano siriani, ma tutto sommato non vivrebbero malissimo in quel territorio (tanti altri residenti furono cacciati dagli israeliani), se non ci fosse continuamente il rischio e l’effetto concreto della interminabile guerra tra Israele, palestinesi, e altri soggetti del mondo arabo. Per il loro incerto statuto nazionale non fanno il servizio militare. E quando non cadono razzi la bellezza del luogo consente persino buone attività turistiche.
Ha un senso per i nemici di Israele uccidere con un missile i ragazzi di questo popolo colpevoli solo di voler giocare a calcio? L’unico senso sarebbe: io posso colpire il tuo territorio. Di chi ci vive non mi importa assolutamente nulla.
Netanyahu è rientrato precipitosamente e ripete che la risposta “sarà dura”. In realtà vari attacchi ci sono già stati. Ma evidentemente non bastano.
Come ha detto tanti anni fa Chomsky, le vittime non sono tutte uguali. Le decine, centinaia, migliaia di bambini palestinesi massacrati nelle scuole, ospedali, campi profughi, dalle bombe di Israele non valgono evidentemente quanto i disgraziati giovani drusi. Unicamente perché sono stati uccisi sul terreno israeliano.
Sulla Stampa di ieri era intervistato uno scrittore e accademico israeliano, Neve Gordon, docente a Londra, il quale considera anche lui «surreale e orribile» l’azione attribuita a Hezbollah. Dice però una cosa che dovrebbe essere di per sé evidente: «Sussiste un forte legame fra ciò che avviene a Gaza e quanto sta accadendo in Libano: una fine delle ostilità al confine settentrionale con Israele dipenderebbe senza dubbio da quanto avviene nella Striscia».
L’America di Biden, dice, non è sufficientemente coerente nello spingere Israele a concludere il negoziato per cessare il fuoco e ottenere il rilascio degli ostaggi ancora in vita. Netto anche il suo giudizio su Netanyahu: «…è il responsabile principale della continuazione delle violenze e del mancato rilascio degli ostaggi. Ha come priorità esclusivamente la propria carriera politica».
Chissà. Forse non sarebbe meno grave se credesse sinceramente di dover agire come agisce nel nome di un superiore interesse del suo popolo. Che invece rischia di trascinare un una sorta di tragico e paradossale abisso morale. Ma ci sono tanti israeliani e israeliane che si distinguono da lui.
Massimo Cacciari, ancora la Stampa, scrive una lunga e cupissima riflessione sullo stato delle cose. Le parole della legge, della giustizia e della filosofia, dice citando antiche polemiche teoriche e teoretiche, non valgono nulla ora contro la “volontà di potenza”. E anche io mi sento incapace di pronunciare una parola dotata di qualche senso.
Giro qualche altra pagina e leggo degli altri disgraziati cittadini che vivono intorno alla città russa di Belgorod, vicino al confine con l’Ucraina, bersagliati dai droni mandati da Kiev in risposta agli attacchi russi. Un’altra guerra tanto crudele quanto insensata: ammesso che ci fosse qualche “ragione”, voglio dire persino da una parte e dall’altra, che cosa ne resterà se il massacro non si ferma?