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Microcritiche / Un amore difficile mentre nasce lo Stato di Israele

13 Luglio 2024
di Ghisi Grütter

SHOSHANA – Film di Michael Winterbottom. Con Irina Starshenbaum, Douglas Booth, Harry Miller, Aury Alby, Ian Hart, United Kingdom e Italia 2023.

Shoshana” è un bel film asciutto, duro, girato quasi in forma di documentario, con qualche spezzone di repertorio. Il film è ispirato alla storia della figlia di Ber Borochov, tra i teorici del movimento sionista socialista. Raccontato in prima persona dalla protagonista (che sappiamo dai titoli di coda che morirà a 93 anni) ci presenta un po’ la storia dei primi insediamenti in Israele quando c’era il protettorato inglese. Shoshana arriva negli anni ’20 dall’Ucraina con madre e fratello. Il padre ebreo, era stato ucciso prima proprio a causa delle sue idee.
Siamo nella neo fondata Tel Aviv nel periodo tra le due guerre detto Mandatory Palestine, sotto il controllo britannico (1920-1948). Shoshana fa la giornalista ed è membro di Haganah (la Difesa), un’organizzazione paramilitare ebraica che durò fino al 1948 e poi confluì nelle Forze Armate israeliane. È una donna forte e coraggiosa che porta avanti la linea del padre credendo nell’utopia dei kibbutz.
Da subito iniziarono le divergenze tra l’Haganah e il Likud, gruppo nazionalista nella sua ala militare di Irgun Zvei Leumi. Fondato come partito solo nel 1973 da Menachem Begin, vincerà nel 1977, quando per la prima volta i laburisti andranno all’opposizione. La fase decisiva della nascita dello Stato ebraico era iniziata nel 1939 con la pubblicazione del Libro bianco con il quale l’amministrazione britannica aveva posto limitazioni fortissime all’immigrazione e alla vendita di terreni agli ebrei. Da quel momento in poi, pur essendo la Guerra mondiale in pieno svolgimento, le navi di immigranti ebrei vennero respinte e molte di esse colarono a picco conducendo alla morte i passeggeri. Nacquero così gruppi terroristici ebraici che opereranno, fino alla dichiarazione dello Stato di Israele, con azioni contro le istituzioni britanniche, facendo esplodere bombe in luoghi pubblici. All’epoca obbiettivo del Likud era cacciare gli inglesi con ogni mezzo (attentati).
Agli inizi del 1947 il Regno Unito decise di rimettere il mandato palestinese nelle mani delle Nazioni Unite cui fu affidato il compito di risolvere l’intricata situazione, ma le rigide limitazioni all’immigrazione furono mantenute: nel 1947 la famosa nave Exodus, con 4.500 ebrei tedeschi sopravvissuti ai campi di concentramento, venne respinta e costretta a tornare in Europa. (Come dimenticare il film “Exodus” di Otto Preminger con Paul Newman?!)
L’ONU dovette quindi affrontare la situazione che dopo trent’anni di controllo britannico era diventata pressoché ingestibile, visto che la popolazione ebraica, da esigua minoranza, comprendeva oramai un terzo dei residenti in Palestina, anche se possedeva solo una minima parte del territorio (circa il 7% del territorio, contro il 50% della popolazione araba e il restante in mano al governo britannico della Palestina).
Queste intricate vicende non sono spiegate nel film che, invece si occupa principalmente di mettere a fuoco gli ostacoli nel rapporto d’amore tra Shoshana (interpretata da Irina Starshenbaum) e Tom Wilkin (interpretato da Douglas Booth) – membro della squadra antiterrorismo della polizia britannica -palestinese – che sembra diventare impossibile con l’escalation della violenza, in particolare dopo l’uccisione del poeta ebreo Avraham Stern (interpretato da Aury Alby), appartenente all’Irgun.
Il regista Winterbottom – che scrive la sceneggiatura con Laurence Coriat e Paul Viragh – si è ispirato al libro One Palestine, Complete di Tom Segev e ha voluto far luce su un periodo storico meno noto, quello tra le due guerre. A tale proposito ha condotto varie ricerche allo Steven Spielberg Jewish Film Archive di Gerusalemme per approfondire il periodo antecedente alla fondazione dello Stato di Israele del 1948 – conseguenza della risoluzione dell’ONU che decretò la partizione della Palestina tra ebrei e arabi.
Solo una cosa non mi ha convinto del tutto: nel film sembra che la cattiveria degli inglesi sia concentrata nell’unica persona di Geoffrey Morton (interpretato da Harry Melling), come se non fosse nota la loro crudeltà, ben addestrata durante le guerre e nelle colonie e lo stesso regista se n’è occupato in precedenti pellicole.

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