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relazioni politiche, dal quartiere al mondo

Berlinguer e la questione femminile

25 Luglio 2024

Pubblichiamo l’intervento di Fulvia Bandoli all’iniziativa dell’Associazione Enrico Berlinguer dopo aver già pubblicato nei giorni scorsi il contributo di Letizia Paolozzi.

di Fulvia Bandoli

Ringrazio l’Associazione Enrico Berlinguer per l’invito e i ragazzi e le ragazze della Scuola Teresa Gullace e della redazione del Giornalino “L’urlo di Teresa” per essere qui a interloquire con noi con le loro domande.
E comincio proprio rispondendo a voi che ci avete chiesto dove ci si forma alla politica? dove la si fa, e come mai i ragazzi di oggi sono meno impegnati dei ragazzi di ieri? Io credo che ci si formi in vari modi, nella famiglia, se è una famiglia che ama il confronto delle idee, e poi con gli amici e i compagni di scuola, voi ad esempio con il vostro giornalino sicuramente avete creato uno strumento importante di crescita politica e sociale.
La mia generazione si è formata nel Movimento studentesco del ’68, in battaglie semplici, quelle per il diritto allo studio o per il diritto a riunirci in Assemblea per una scuola più aperta e meno autoritaria. Poi diventando grandi o entrando nel mondo del lavoro abbiamo avuto la fortuna di poterci confrontare dentro partiti che esistevano ancora, avevano un radicamento nella realtà di tutti i paesi e città e anche grandi organizzazioni dedicate ai giovani. Nel caso del Pci questa organizzazione si chiamava FGCI. Un ruolo importantissimo l’hanno svolto i Sindacati che organizzavano anche giovani lavoratori, e un altro ancora lo hanno avuto le Associazioni ricreative come l’Arci, o le associazioni di Volontariato, e per le ragazze l’Udi e dopo igruppi femministi.
Vedete quanto era strutturata la società civile e politica in quegli anni e anche nei decenni successivi, sicuramente sino alla fine degli anni 80. Oggi, ma già da vari decenni, i luoghi di partecipazione si sono ristretti, i partiti politici si sono trasformati in partiti “leggeri” a tal punto da essere spesso invisibili alle persone nei quartieri e nelle città o nei luoghi di lavoro. La politica la fanno pochi leaders, un pugno di opinionisti e giornalisti televisivi, e uno dei principali strumenti che veicola idee e opinioni sono, oltre alle Tv, i Social Media. Talvolta anche le scelte più importanti vengono annunciate dai leader politici attraverso videomessaggi su Twitter, Facebook, Istagram, Tik Tok.
Sono pochi i politici che casa per casa, paese per paese cercano ancora il confronto con le persone e ascoltano i loro problemi. Ultimamente solo Elly Schlein segretaria del Pd pare aver ripreso e indicato questa pratica politica come necessaria per tornare a radicare un partito tra le persone…dunque per voi ragazzi è molto più difficile trovare luoghi di confronto e di impegno e spesso dovete crearveli da soli.
Sul tema che affrontiamo oggi, su come si rapportò il Pci e soprattutto Enrico Berlinguer alla Questione femminile e al Movimento delle donne, dall’ emancipazione al Femminismo, rimando alla lettura della bella e completa ricostruzione che ne hanno fatto Franca Chiaromonte e Anna Maria Carloni. Io farò solo alcune riflessioni sparse.
La prima riguarda proprio la natura del Partito Comunista Italiano, un partito speciale, diverso e originale rispetto a tutti gli altri partiti Comunisti del mondo. Di massa, elettoralmente fortissimo fino ad arrivare oltre il 33% , con radici dovunque e impegnato in centinaia di governi locali e regionali e capace di proporre e far approvare ,con il sostegno popolare, importanti Riforme di struttura nel parlamento nazionale. Oggi che in Italia essere stati “comunisti” pare diventata, per molti governanti, commentatori e giornalisti, un’offesa infamante, io rivendico in toto la particolarità dei comunisti italiani e della loro bella storia politica, non priva di errori, ma caratterizzata sempre e con chiarezza, dalla scelta della democrazia come strada maestra.
Vorrei poi, in tema di segretari del Pci, dare a Luigi Longo ciò che è di Longo. Un segretario di passaggio tra Togliatti e Berlinguer che però seppe fare scelte importanti e coraggiose. Nel 1968 condannò senza incertezze l’invasione della Cecoslovacchia da parte dell’Urss e fu il primo vero atto di autonomia da Mosca. L’Urss interruppe i rapporti con il Pci per oltre un anno. E sempre nello stesso anno, nel pieno del Movimento Studentesco e delle grandi mobilitazioni giovanili, scrisse ai leader del Movimento per chiedere loro un incontro. Un uomo schivo, di cui poco si parla ma che andrebbe ricordato maggiormente.
Io e molti giovani ci iscrivemmo alla Fgci proprio in occasione della condanna dell’invasione della Cecoslovacchia. E manifestammo nelle piazzenel gennaio del 69 quando per protesta contro l’invasione, il giovane Ian Palach si diede fuoco a Piazza San Venceslao.
Su Berlinguer e sul suo sforzo reale di comprendere le due culture politiche o per dir meglio le due rivoluzioni culturali degli anni 70/80 (mi riferisco a quella femminista e a quella ecologista) vorrei sottolineare alcuni elementi: fu durante la sua segreteria che il Pci candidò in Parlamento, ed elesse, alcuni tra i primi e migliori ecologisti italiani: Antonio Cederna, Laura Conti,Giorgio Nebbia, Massimo Serafini e altre e altri. Io credo che lui avesse una consapevolezza reale del concetto di “limite delle risorse”, quando parlò di austerità non la intendeva , come molti erroneamente interpretarono, come la necessità da parte dei lavoratori di tirare la cinghia, bensì come necessità di non eccedere in consumismo e dunque anche in consumo distorto delle risorse naturali e della necessità di una redistribuzione equa. Il termine scelto magari non fu felice, come non lo fu quello di Compromesso Storico, ma se andiamo alla sostanza e al merito delle cose che disse sia nel discorso fatto al Teatro Eliseo a Roma sia negli articoli scritti su Rinascita dopo il colpo di Stato in Cile (si può esser stati d’accordo o meno) ritengo sia un errore banalizzare fino al punto di ritenere l’Austerità solo come necessario sacrificio dei lavoratori e il Compromesso storico solo un mero compromesso con la Dc.
La stessa sensibilità e voglia di capire Berlinguer la dimostrò in varie occasioni anche sul femminismo, quando cominciò a distinguere tra emancipazione e liberazione femminile in vari suoi discorsi, nel 79 a Piazza di Siena a Roma o alla conferenza delle donne comuniste nel 1984. “Oggi- disse in quella occasione – che le donne hanno portato avanti il tema della liberazione che comprende, ma supera,quello della emancipazione, i comunisti conseguenti, in quanto rivoluzionari, e perciò fautori di ogni forma di oppressione, devono superare quegli orientamenti culturali, quegli atteggiamenti mentali e pratici, quelle abitudini che sono proprie di una società e di una cultura e quindi anche di un modo di far politica, costruiti secondo l’impronta maschilista, cioè in nome di una pretesa supremazia dell’uomo sulla donna e delle concezioni che ne sono derivate e che egli ha ereditato”.
Se dovessi trovare un limite in questa innovativa analisi che Berlinguer fece sulla questione femminile direi che il principale è la mancanza di riferimento alla soggettività maschile. E’ raro infatti che Berlinguer si rivolga agli uomini che pure erano, e sono ancora, quelli che dovevano allora ,e devono ancora oggi, fare più strada nel riconoscere e accettare appieno la libertà femminile.
Il punto più alto di dialogo reale con il femminismo fu la Carta delle Donne del Pci scritta nel 1987 dalle donne Comuniste guidate da Livia Turco, che portò a compimento tutte le acquisizioni degli anni precedenti e che aprì un confronto nazionale in tutti i territori con i gruppi femministi. Il segretario era Alessandro Natta. Gli ultimi anni del Pci invece, segretario Occhetto (1988-1991) sono assai ripiegati all’interno e dopo la caduta del muro di Berlino,nell’89, inizia la fase che porterà alla chiusura dell’esperienza del Pci e all’apertura di un altro capitolo, con la creazione del PDS e poi dei DS. Ma questa sarebbe tutta un’altra storia da raccontare.
Un ultimo accenno al tema della Pace, perché per me è impossibile parlare senza nominare le due guerre principali in atto (accanto a tutte le altre nel mondo). Dopo il grande movimento per la Pace degli anni 80 e 90 oggi la parola Pace è diventata incredibilmente quasi impronunciabilee spesso bandita. Oggi si parla solo di armi e ogni Paese sceglie di destinare risorse immani al riarmo e si discute di fare guerre, di estendere o andare in guerra. Chi diserta è un traditore, non un obiettore. Le donne palestinesi e israeliane che da anni lavorano insieme per la pace tra i loro popoli non vengono mai nominate. Se vuoi che cessi il fuoco in Ucraina e che Putin si ritiri e che a Gaza cessino le bombe e siano liberati gli ostaggi israeliani… sei o Putiniano nel primo caso oppure stai con Hamas nel secondo caso. Tutto è bianco o nero. O meglio tutto è chiuso nello scontro tra Oriente dittatoriale che ci vuole annientare e Occidente democratico che dobbiamo difendere dai barbari. E in questa contrapposizione scarna e manichea cessa di esistere il dialogo, ogni trattativa si inabissa, e parlano solo le armi. E il mondo rischia come poche volte è accaduto.
La mia più grande speranza è che voi ragazzi e ragazze torniate ad impegnarvi sui temi della Pace e del Disarmo e diventiate tutti obiettori di coscienza, disertando da ogni guerra.

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