Intervento all’iniziativa organizzata dall’Associazione Berlinguer nella sede al Quadraro di Roma il 27 giugno 2024 con questo titolo: “Berlinguer per il futuro. Enrico Berlinguer e la questione femminile: dall’emancipazione alla politica della differenza”
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Viviamo in un’epoca di commemorazioni che funzionano nel tentativo di riacchiappare un mondo perduto.
Ma se questo è un modo un po’ superficiale di guardare al passato, dal secolo scorso avremmo degli insegnamenti da trarre purché ci si sottragga alla furia iconoclasta e contemporaneamente al fascino agiografico che promana da figure come quella di Enrico Berlinguer.
E’ giusto attribuirgli tra le altre virtù quella di essere cresciuto nella cultura dell’emancipazione per abbracciare la politica della differenza? Ne dubito.
Sia chiaro, Berlinguer ebbe curiosità per il femminismo o comunque lo volle come alleato. E comprese che era ormai esplosa l’ingiustizia nel rapporto tra gli uomini e le donne, nel dominio degli uomini sulle donne.
Ma la sua era una politica che aveva puntato sull’austerità (anche se gli attacchi all’edonismo rischiavano di nascondere il cattivo ma anche il buono della modernità), sulla questione morale, sul compromesso storico (che fu fermato non solo dai dubbi di molta parte del partito ma dall’uccisione di Moro).
Quanto al movimento delle donne che riempiva le strade ed era difficile non vederlo, Berlinguer a un certo momento ne ascoltò con maggiore la voce e però gli si frapponevano ostacoli innanzitutto da parte della sua cultura e di quella di molti del gruppo dirigente (con l’eccezione di Aldo Tortorella e forse di Pietro Ingrao) che avevano coltivato l’ideologia marxista e consideravano il capitalismo come l’avversario e non l’oppressione dell’uomo sulla donna.
Peraltro, i comunisti si stavano separando da quell’ideologia dal modo in cui si era inverata nell’Unione sovietica con molti contorcimenti.
E comunque era una ideologia che poco aveva a che fare con il soggetto “imprevisto” di Carla Lonzi, con il partire da sé, “il personale è politico”, l’importanza delle relazioni, la dimensione simbolica del linguaggio, la critica alla famiglia, il separatismo, “il corpo è mio e lo gestisco io”, la sessualità, l’attenzione alla psicoanalisi, la pratica delle donne che escludeva la democrazia del voto, la conta tra maggioranze e delle minoranze.
Mentre poco era cambiato il Pci molto stavano cambiando le donne. Nel Pci d’altronde la strada gloriosa dell’emancipazione si stava incartando nella curiosa dottrina della rappresentanza di sesso. Dunque nell’idea che il mondo andava diviso a metà come una mela spaccata tra uomini e donne. Con buona pace della differenza.
Soprattutto c’era un ostacolo nel modo di pensare che si riscontra ancora oggi. Questo ostacolo consiste nel considerare la violenza sulle donne, l’aborto, la condizione femminile secondari o comunque che vengono le grandi cause come l’antifascismo, l’eguaglianza sociale, la pace.
È una miopia dalla quale noi donne non siamo indenni. Penso agli stupri del 7 ottobre delle israeliane. Non ne hanno parlato le femministe il 25 novembre, l’8 marzo mettendo avanti il dramma dei palestinesi quasi non fossimo in grado di guardare insieme due tragedie, due dolori, due sofferenze.
Infine, voglio osservare che il rapporto di Berlinguer con il femminismo ha delle attenuanti perché le femministe, cioè noi, peccavamo di tutti gli eccessi radicali dei movimenti allo stato nascente.
E poi, nell’intervista a Berlinguer di Carla Ravaioli il segretario del Pci concludeva: “L’emergere così clamoroso della questione femminile oggi si iscrive a mio parere in questo vasto fermento che scuote il mondo intero, in questa massa di questioni che vengono alla ribalta politica che sono molto diverse tra loro ma testimoniano di una medesima crescita dell’umanità”. Siamo nel 1978.
Dieci anni dopo ci fu un incontro tra femminismo della differenza e Pci con la Carta delle donne e Berlinguer credo che quell’incontro l’avrebbe voluto. Ma i problemi si ripresentarono allargati alla discussione e alle divisione della Svolta. Anche se fu una bella esperienza almeno per noi femministe allora nel Pci che ci permise di elaborare il lutto della sua fine.