Sull’ultimo numero di Critica Marxista – ma sì, rischiando un conflitto di interesse faccio un po’ di pubblicità a una rivista alla quale collaboro – Aldo Tortorella ha intitolato l’editoriale L’Europa in guerra. Un titolo che parla da solo: siamo già in guerra. Lo ha scritto e ripetuto anche Maria Luisa Boccia, nel suo libro Tempi di guerra. Riflessioni di una femminista. E non solo loro ci richiamano a questa realtà.
Eppure è un pensiero che ci rifiutiamo di pensare. Guardando i servizi giornalistici da Gaza (o meglio su Gaza, perché lì agiscono e muoiono cronisti palestinesi ma non sono ammessi inviati dal “mondo libero”) o dal fronte ucraino, proviamo orrore. Forse andiamo alle manifestazioni per la pace. Forse scegliamo anche di vedere e sapere il meno possibile.
Per convincersi di quanto sia reale questo inquietante scivolamento verso un conflitto totale va considerato il linguaggio che si moltiplica sui nostri quotidiani nazionali. Quelli che esprimono, più o meno, il punto di vista di di una borghesia, più o meno, illuminata. E che in qualche caso fanno anche un po’ di opposizione al governo di destra, che oggi festeggia – Giorgia Meloni forse con ancora in testa “l’elmetto” – la vittoria nell’Abruzzo dei tre mari.
Vediamo. Sul Corriere della sera di domenica Paolo Mieli esortava l’Europa a “fare presto” nel soccorrere l’Ucraina, perché «il confronto armato con la Russia di Putin» potrebbe prendere una brutta piega. Magari un “incidente”, come quello sparo a Sarajevo nel 1914. Ma l’evocazione della prima Grande guerra non basta. Subito sotto all’editoriale si poteva leggere il commento di Massimo Riva: un’ Europa dei forti anche se pochi («L’Europa aggiri il vincolo dell’unanimità») non dovrà “calarsi le brache” come «di fronte a Hitler nel 1938 a Monaco». Ecco la prospettiva di una nuova guerra mondiale.
Se il dittatore minore Erdogan, nostro alleato, paragona Netanyahu a Hitler, ormai da parte “occidentale” stabilire l’uguaglianza tra Putin (colui che vuole “denazificare” l’Ucraina a suon di missili) e il capo del Terzo Reich è parola corrente (e si ricorderà che anche Saddam era un “nuovo Hitler”, prove false alla mano).
Discorso simile, domenica, nell’editoriale del direttore di Repubblica Maurizio Molinari: stia attenta l’Italia al suo interesse nazionale, perché Putin, cominciano dalla Moldavia si prepara a una “campagna europea”.
Non sottovaluto il potenziale aggressivo – così criminalmente impiegato da due anni in Ucraina – del dittatore maggiore Putin, ora nostro gran nemico. Ma spingere prima di tutto e soprattutto sul rispondere alle armi con le armi è la strada unica e giusta? Porterà alla pace o a una catastrofe globale?
Ancora ieri, sempre su La Repubblica, l’ex direttore Ezio Mauro segnalava la “divisione verticale” che attraversa il “nostro mondo”: da un lato la visione della guerra del Papa, dall’altro quella del capo americano Biden, nel grintoso discorso al suo paese («La Russia di Putin è in marcia, ha invaso l’Ucraina e non si fermerà»). La democrazia è in pericolo, insidiata in casa propria da uno come Trump, e andrà difesa a ogni costo. Anche a quello – si può capire – della guerra.
Mauro parla con rispetto della posizione del Papa, ma di fatto lo accusa di rivolgersi per la via del negoziato solo alla parte lesa, l’Ucraina. In realtà mi pare che il Papa si sia rivolto anche e soprattutto alle «potenze internazionali» con l’aiuto delle quali «oggi si può negoziare».
La democrazia è “sotto attacco”, anche dai suoi avversari interni, perché ha perso credibilità e capacità egemonica. Le riconquisterà minacciando una terza guerra mondiale termonucleare?