Pubblicato sul manifesto il 26 marzo 2024 –
Di fronte alla deriva violenta del mondo rischia di venire meno la fiducia nella possibilità di cambiarlo.
Mi hanno confortato due o tre cose. I un libro che raccoglie articoli e interventi di Carlo Rovelli (Lo sapevo, qui, sopra il fiume Hao, Solferino, 2023) ho letto queste parole: «Cambiare il mondo è la più bella delle avventure…Chi sa parlare parli, chi sa suonare suoni, chi ha idee le dica, chi sa scrivere scriva, chi sa organizzare organizzi, chi sa fare di più, faccia di più». Rovelli parlava al concerto del 1 maggio, e forse nelle sue esortazioni ai giovani in piazza S.Giovanni c’era un po’ troppa retorica. Non troppo cattiva, però.
Mi sono attaccato a quel «chi sa suonare suoni». Ieri ero ospite, insieme a un giovane amico di maschile plurale, Alessandro, di un liceo artistico (Enzo Rossi) di Roma per un incontro con studenti e studentesse. Chiesto dagli stessi studenti per parlare dell’8 marzo, giornata delle donne. Una data alle spalle: ma è stato ripetuto “tutti i giorni sono 8 marzo”. Ho ascoltato alcuni scampoli di teatro, molto ben recitati, e la bella canzone di Mia Martini Gli uomini non cambiano splendidamente cantata da due ragazze.
C’erano alcune professoresse molto motivate nell’organizzare la cosa, e molte domande di ragazzi e ragazze alle quali abbiamo cercato di rispondere sulla possibilità che noi maschi cambiamo qualcosa del nostro modo di vivere le relazioni con le altre, gli altri, il mondo. Un qualcosa che potrebbe migliorare la vita, a cominciare dalla nostra.
La insegnante che ha aperto l’incontro ha osservato che nei programmi scolastici – per esempio nella storia della letteratura – la presenza femminile è ancora sottovalutata se non rimossa.
Ho raccontato che proprio nei giorni scorsi ho partecipato a un convegno, con tanti altri studenti e studentesse universitarie, in cui si è parlato della rimozione altrettanto macroscopica delle donne che hanno composto e eseguito musica nei manuali di storia della musica. Negli Usa, ho appreso, è stato editato un volume enciclopedico in cui si passano in rassegna ben 1.200 nomi di musiciste dimenticate.
Ho anche ascoltato le parole molto interessanti di una musicista italiana che insegna composizione al conservatorio S. Cecilia di Roma, Silvia Colasanti, in dialogo con Luca Aversano, docente di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo. Colasanti è un’autrice di opere liriche riconosciuta in Italia e all’estero. Ha raccontato che era l’unica donna nella sua classe di composizione, con il vantaggio di venire da una famiglia di musicisti, ma ha anche aggiunto di aver avuto maestri che l’hanno incoraggiata e sostenuta. (Ancora nell’Ottocento, il secolo del “progresso”, era quasi ovunque vietato alle donne accedere all’insegnamento della composizione).
È anche vero che tutt’ora i suoi allievi sono soprattutto maschi. Ma lei sostiene che, ben conoscendo le difficoltà che una donna incontra per esempio nel mondo della lirica (“conservatore e maschilista”), oggi oltre a ripensare la storia e i suoi vuoti è bene “lavorare sugli spazi che si sono aperti”. Libertà e impegno per il talento, mi è sembrato il suo messaggio ai giovani, e soprattutto alle giovani che ascoltavano.
Allora può succedere che se chi sa suonare suona, può dare una mano a cambiare il mondo?
Il convegno citato, Le musiciste, è giunto alla ottava edizione e si arricchisce di nuovi contenuti e soggetti insieme all’Università Roma Tre. Dopo tre giornate a marzo e un concerto serale del Freon Ensemble altri appuntamenti il 15 e 16 aprile, e l’8 maggio. Organizzatrici e ideatrici, con Aversano e molte e molti altri, Milena Giammaitoni, Orietta Caianiello, Bianca Maria Antolini.