Mi è capitato su queste pagine di segnalare un bel libro ( L’eco della memoria, di Jeremy Eichler) sul ruolo che può svolgere la musica nel riaccendere la memoria e la conoscenza-coscienza di avvenimenti – in quel caso catastrofi come la guerra mondiale e lo sterminio degli ebrei – ai quali bisogna dedicare sempre la riflessione per evitare che si ripetano.
L’ascolto della musica, legata o meno a parole cantate, restituisce con immediatezza e emozione forse maggiori di altre invenzioni artistiche, qualcosa dei sentimenti provati nel passato di cui è testimonianza. Ciò vale per fatti storici epocali come quelli citati, ma pure per una quotidianità della quale sappiamo poco.
Dal desiderio di riappropriarsi del passato sconosciuto viene anche la passione di eseguire le partiture utilizzando strumenti il più possibile simili a quelli esistenti ai tempi in cui furono composte.
Ma sappiamo davvero come venivano suonati questi antichi strumenti?
Qualche risposta l’ho ascoltata sabato scorso in quel gioiello non troppo conosciuto che è il Museo nazionale degli strumenti musicali, a Roma vicino alla chiesa di Santa Croce in Gerusalemme. Era in programma un concerto, con visita guidata inclusa, che apre un festival dedicato al Fortepiano, antenato del pianoforte. Ho scoperto (sapevo del museo ma in tanti anni non c’ero mai andato) che vi si può ammirare uno dei tre fortepiani esistenti al mondo costruiti dall’inventore di questo strumento, Bartolomeo Cristofori, negli anni Venti del ‘700. Come si sa, il fortepiano, poi pianoforte, rispetto ai clavicembali allora diffusi, poiché le corde anziché essere “pizzicate” vengono percosse da un martelletto, rende possibile il fatto che alla pressione della mano sulla tastiera corrisponda un aumento o una diminuzione del volume del suono. Si narra che il Cristofori abbia fatto provare lo strumento al grande Bach, il quale lo lodò molto ma disse che non avrebbe avuto alcun successo. Aveva ragione e insieme torto. Ancora per circa un secolo durò il regno del clavicembalo, ma con Mozart, Clementi e poi con Beethoven e i romantici il pianoforte divenne il principe incontrastato della musica nei teatri e nei salotti.
Sabato però sono stati una giovane violinista, Rebecca Raimondi, e un giovane flautista, Lorenzo Gabriele (il duo “Amüsant”), a mettere in scena due secoli di musica, facendo scoprire un compositore – Joseph-Bodin de Boimortier – che già tra ‘600 e ‘700 si era conquistato a Parigi un ruolo di musicista imprenditore di se stesso, e presentando poi brani di Bach figlio (Carl Philip Emanuel) e di Christian Cannabich, animatore della orchestra di Mannheim, che incantò col suo modo nuovo di suonare con forti chiari e scuri il giovane Mozart. Ecco quindi le trascrizioni delle melodie del Flauto magico dello stesso Mozart, per giungere alla musica ultra-teatrale dell’italiano Alessandro Rolla. Nella prima metà dell’800 dirigendo La Scala fu protagonista della scena operistica di quegli anni.
Dai due solisti si è appreso che i trattati teorici dell’epoca e le rare “cronache” di concerti privati o di corte, non aiutano molto a capire come si suonava una volta. Forse può soccorrere un po’ di fantasia, cercando nel modo di accentare i gruppetti sonori il riflesso delle movenze delle maschere della Commedia dell’arte che si esibivano nelle strade oltre che nei teatri e che facevano parte del senso comune popolare. In un lungo momento storico in cui la musica lasciava in parte le chiese per rinnovarsi al ritmo di danza.
Non perdetevi i prossimi appuntamenti col Fortepiano il 12, 13 e 14 aprile prossimi (programmi e informazioni sul sito www.clivis.it)