Il musicologo Hugo Riemann denomina operetta i primi saggi dell’opéra-comique francese del secolo XVIII e analogamente chiama operetta il Singspiel tedesco, creato in Germania da J. A. Hiller (1728-1804), che fece uso della canzone di stile popolare. In Austria anche Il ratto del serraglio di W. A. Mozart del 1780 è da annoverare tra i più importanti Singspiel.
L’operetta diventa definitiva durante il secolo XIX. È dunque uno spettacolo di musica (orchestra, soli, duetti, concertati, coro, danze) intercalato da dialoghi in prosa, il quale, liberandosi da stilizzazioni e da pathos, trova un suo carattere leggero in contrapposto con l’opera seria e la grande opera comica, nella frivola gaiezza, nella buffoneria e nella capricciosa fantasia della sua vicenda scenica: tutti motivi di divertimento per lo spettatore. Importante è lo sfarzo dell’allestimento scenico.
Sorse in Francia nell’800 come filiazione dell’opera buffa confondendo le sue origini con il decadere di questo genere. Accanto all’operetta francese fiorì in Austria quella di Johan Strauss jr di cui è tuttora nota Die Fledermaus del 1874. L’operetta viennese differisce da quella parigina per la maggiore importanza dell’elemento sentimentale a scapito di quello parodistico, affidato qui per lo più a un solo personaggio che acquista via via sempre maggiore evidenza: il basso comico, detto “il basso buffo”, sul quale si concentra l’azione farsesca.
Fra i compositori d’operette in stile viennese occupa un posto preminente Franz Léhar del quale La vedova allegra (Die lustige Witwe) del 1905 ebbe una risonanza mondiale e divenne un modello per quasi tutti i successivi compositori di operette. Sul modello viennese si formò anche l’operetta italiana, che con Ruggero Leoncavallo (1858-1919) assunse un carattere d’italianità come appare ad esempio in La reginetta delle rose 1912.
In Inghilterra fra i cultori del genere operettistico sono da ricordare sir Arthur S. Sullivan che assieme al librettista W. S. Gilber, composero 14 opere comiche di successo tra il 1871 e il 1896 come H.M.S. Pinafore, The Mikado e The Pirates of Pensance.
Più tardi l’orientamento del gusto popolare verso la rivista, il jazz e il cinema sonoro, contribuì al decadimento dell’operetta, la quale senza perdere il suo carattere fondamentale e convenzionale, si è spostata o verso la farsa o verso l’opera (come Wo die Lerche singt di Lehár del 1936).
Piuttosto deludente l’interpretazione de La Vedova Allegra nei giorni 20/21 gennaio della Compagnia Italiana di Operette al Teatro Ghione di Roma, dove i microfoni erano tenuti troppo alti disturbando, tra l’altro la comprensione del testo. La celebre operetta dell’ungherese Lehár, è ambientata a Parigi presso l’Ambasciata del Pontevedro e ha per protagonista Hanna Glavary, (interpretata da Irene Geninatti Chiolero) vedova del ricco banchiere di corte. Il Barone Zeta (interretato da Gianfranco Teodoro), ambasciatore pontevedrino, deve combinare un matrimonio tra Hanna e un compatriota per far sì che la dote della ricca vedova resti nelle casse dello Stato ormai ridotto male economicamente. Coadiuvato dal confusionario segretario Njegus (interpretato da Claudio Pinto Kovačević), innesca una serie di equivoci comici che condurranno comunque ad un lieto fine.
Nella recente edizione al Teatro Ghione le scene erano sfarzose, i costumi eleganti e il corpo di ballo discreto (corpo di ballo Nania Ensemble). Il cast artistico però era costituito da alcune voci abili, ed altre molto meno. Quello che mancava è la leggiadria mitteleuropea, così come si ritrova nei valzer straussiani. È stata sostituita da battute – talvolta in napoletano talvolta in romanesco – più vicine al cabaret, e che giravano sempre attorno alla tematica della donna oggetto d’amore e soggetto di tradimento.