Immagini: Noa impaurita, sulla moto, stretta tra due uomini di Hamas. La famiglia Kedem, Tamar, Jonathan, le bimbe di sei anni Shahar e Arbel, il figlio Omar di quattro, sorridevano. Tutti uccisi a Nir Oz.
Foto che parlano dell’accanimento sul corpo delle donne; dell’annientamento delle relazioni; della lacerazione della festa, del rave, della comunità.
D’altronde, se “anche nella malvagità esiste una gerarchia” (David Grossman) o dovrebbe esistere, è andato in scena non lontano da noi l’odio per la vita umana.
Come negli sgozzamenti dell’Isis? Come nel massacro del Bataclan? Non saprei. L’orrore somiglia solo a se stesso; quello di ieri non alleggerisce quello di oggi. Che si ricostruisca o no il suo contesto; che si mostrino ragioni inoppugnabili.
Cosa possiamo fare? Forse lasciare che, nella sua unicità, l’orrore spacchi il nostro cuore. Sapendo che altri ce ne saranno. E dovremo piangere ogni volta senza fare distinzioni.